Elogio di Amrabat Diamo il suo nome alla vittoria viola

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Potremmo chiamarla Nico, visto che Gonzalez è tornato l’uragano imprendibile di un tempo, capace di scoperchiare con le sue folate la casamatta giallorossa. Oppure potremmo chiamarla Jack, in onore di un Bonaventura sontuoso ed efficace come da settimane non si vedeva. Ma, dovessimo dare un nome alla vittoria dell’altra sera sulla Roma, noi la chiameremmo Sofyan, in omaggio ad Amrabat, giocatore spesso criticato e marginalizzato, che l’altra sera ha di nuovo stupito per intensità e presenza, raccontando quanto il calcio possa essere luogo meraviglioso di ripartenze e redenzione. Già, Sofyan Amrabat, ex mediano settepolmoni divenuto a sorpresa regista dell’orchestra sinfonica fiorentina.

Non sono soltanto le cifre a sollecitare l’applauso: lui l’altra sera è stato il viola che ha corso di più (11,927 i chilometri percorsi in campo) con 68 palloni giocati e una percentuale di precisione nei passaggi del 96,6%. Una gara da 7 in pagella. Ma la vittoria gli va dedicata per altro. Ovvero per quella sua trasformazione in campo, per quel senso di rinascita sportiva che le sue ultime prestazioni in viola hanno consegnato alla cronaca. Una storia emblematica. Arrivato lo scorso anno da Verona come colpo di mercato, nel calcio asmatico di Iachini Sofyan si era come perso. A Firenze non si vedeva traccia di quel giocatore stakanovista che Juric non sostituiva mai ("Per la sua importanza lui sta in campo finché non muore", disse una volta il tecnico croato) e che aveva fatto innamorare Commisso al punto da fargli staccare un assegno di ben 20 milioni per averlo. Al suo posto, l’ombra di un centrocampista indolente, traccheggiante, senza spinta né potenza che ne giustificasse una maglia da titolare. Anche con Italiano all’inizio le cose non erano andate meglio: una gara blanda e insufficiente a Venezia lo aveva ricollocato nelle retrovie della panchina, idealmente perso alla causa viola. Ma il calcio è il bazar sempre aperto delle opportunità.

E’ ll luogo della vita dove davvero gli esami non finiscono mai. Così, rimesso in campo per l’assenza di Torreira a La Spezia, proprio un suo gol caparbio nel finale rimediò a un errore precedente, consegnando la vittoria alla Fiorentina e correggendo l’inerzia. Da allora Amrabat è diventato altro. E ogni volta che è stato chiamato a prendere il posto di Torreira in cabina di regia, lui che regista non è, si è adattato esemplarmente. Non più il il calciatore abulico e friabile dei primi tempi ma una roccia di Gibilterra conficcata a presidio della metà campo viola. Una sorta di tuttofare energetico capace di chiudere, tessere, rilanciare e pedatare.

Cosa che ha fatto anche l’altra sera con la Roma, contribuendo a consegnare alla Fiorentina una vittoria preziosissima. Una vittoria che appunto chiameremmo Sofyan, con la convinzione che siano anche queste storie ad aver condotto la Fiorentina su una rotta insperata a inizio campionato. L’approdo ora si chiama Europa e, nel caso, la festeggeremmo chiamandola Vincenzo e Riccardo, Pietro e Nikola, Julio e Cristiano, Alvaro, Gaetano e così via, per rendere omaggio a una squadra senza campioni assoluti ma dai mille nomi, collettiva come poche, che fa dell’insieme la sua forza. Qualcosa che è piacevole tifare.

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