"Astori chi?". E tutto iniziò. Udine, il viaggio del dolore

Il dramma nel ricordo del nostro inviato che doveva raccontare solo una partita L’arrivo davanti all’albergo dove i giocatori erano fantasmi con la tuta viola

Davide Astori, il capitano della Fiorentina scomparso il 4 marzo 2018

Davide Astori, il capitano della Fiorentina scomparso il 4 marzo 2018

Firenze, 4 maggio 2021 - Tre parole. Mai potrò dimenticarle, mi colpirono come fucilate a bassa voce mentre stavo guidando verso Udine, senza sapere che sarei uscito dall’autostrada per entrare in una dimensione parallela. Ancora quattro ore alla partita e, all’improvviso, quelle tre parole: "Astori? Astori chi?". Il mio compagno di viaggio parlava al telefono e ancora una volta – come per sollecitare una risposta negativa che però non arrivava – lo sentii chiedere se Astori era Davide, il giocatore della Fiorentina, il capitano, quello che conoscevamo anche noi, sì insomma proprio Davide Astori, non un altro.

Ma era sicuro chi ci stava dando la notizia? Non era uno sbaglio, un errore, perfino uno scherzo eccezionalmente stupido, sì pensai anche a quello, perché il cervello si rifiutava di accettare la realtà, come poteva essere il capitano della Fiorentina quel giovane uomo che non si era risvegliato nel suo letto, a Udine, in un albergo dove anche noi avevamo trascorso tante vigilie parlando di calcio, formazioni, tattica? Perché Davide era rimasto nel suo letto, con le coperte quasi in ordine, solo i pugni erano chiusi come per combattere contro un avversario invisibile?

E qui i ricordi si perdono. Non rammento i chilometri che mancavano a Udine, venti o trenta, quel 4 marzo 2018 fu come se il tempo cambiasse densità e diventasse più fitto, non misurabile, fino a quando il navigatore ci ricordò che dovevamo imboccare il casello senza puntare la Slovenia, dove probabilmente saremmo finiti nonostante i cellulari avessero cominciato nel frattempo a suonare senza sosta, come per violare quel silenzio e il nostro stordimento. Ci ritrovammo davanti all’albergo della Fiorentina, Là di Moret, già circondato da un mucchio umano che guardava da lontano i giocatori, fantasmi con la tuta viola. La squadra salì sul pullman per raggiungere l’aeroporto e tornare a Firenze con un volo charter, a noi il compito di raccontare quella desolazione che ancora oggi, a distanza di anni, sembra così irreale: eravamo arrivati per una partita di calcio, ci ritrovammo a raccontare la morte del giovane capitano della Fiorentina che non si era risvegliato. E come per difenderci facemmo mucchio, eravamo un piccolo gruppo di giornalisti fiorentini di fronte all’obitorio dove il corpo di Davide stava riposando in attesa che da Firenze arrivassero la compagna, Francesca Fioretti, Diego Della Valle e altri dirigenti. Ricordo il silenzio, l’incredulità, i cellulari che vibravano di continuo, gli sguardi delle persone, qualcosa di troppo grosso ci aveva avvolto senza che noi – che avevamo il compito di raccontarlo – avessimo la forza di farlo.  

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