San Miniato al monte, una "conchiglia" con al centro la perla della sapienza

Nel millenario un saggio di Renzo Manetti sui simboli e il mistero della basilica

Renzo Manetti

Renzo Manetti

Firenze, 16 dicembre 2018 - Nel millenario della basilica che sorveglia dall'alto la Città del Fiore, Renzo Manetti, architetto e scrittore, studioso attento di Leonardo e della Firenze esoterica, ha scritto un nuovo saggio su 'San Miniato al Monte (1018-1207). Simboli e Mistero di un’Architettura Sacra', edito da Mauro Pagliai che è stato presentato al Caffè Letterario Niccolini. Manetti ha dedicato molti studi e un romanzo alla basilica. “Nell’edificio sacro – spiega - ogni passione si placa e l’anima si nutre del respiro che l’ha generata. La basilica di San Miniato al Monte è il prototipo di un’architettura sacra”. Manetti ne decifra i simboli e il loro messaggio aggiungendo un nuovo capitolo alla sua ricerca sui segni nascosti o che la nostra cultura non sa più cogliere come anche su alcuni misteri che attendono di essere decifrati. Ben osservata, San Miniato si presenta come una conchiglia che ha riposta, al suo interno, la perla della sapienza.

Già nel romanzo ‘Il segreto di San Miniato’, edito da Polistampa nel 2007, Manetti comunicava alcune convinzioni maturate con i suoi studi e una lunga meditazione su temi propri della fede, attraverso lo  della "storia raccontata", in quel caso la storia di Yoseph, un ebreo fiorentino, figlio di un uomo legato a un frate benedettino olivetano di San Miniato con il quale ha in comune la ricerca della pietra filosofale, di quella pietra cioè che nella vulgata è di fatto l'insieme dei procedimenti chimici con cui si è possibile creare l’oro, l’elemento più prezioso, ma che nella ricerca degli uomini che ambiscono a una sapienza profonda è un'altra cosa: un varco che consente di superare il tempo costretto alla corruzione e alla morte; la porta che conduce alla sapienza avvolgente di Dio, all’amore dei cari scomparsi e che vengono finalmente ritrovati. Le pagine sul significato della facciata di San Miniato, come anche del Battistero, o, ancora, l’interpretazione cristianizzata, ebraica o islamica dei segni zodiacali e delle rappresentazioni di tradizioni leggendarie come quelle legate alla ricerca del Graal, sono particolarmente intense e riuscite. La decifrazione di una lapide di San Miniato fa ipotizzare all’autore che la guida dell’abbazia sia stata un tempo affidata a un ebreo convertito, Yoseph che è poi il protagonista del suo romanzo. Temi che tornano anche nel nuovo saggio.

Lei ha dedicato molti dei suoi studi a Leonardo Da Vinci. Chi è Monna Lisa? “Non certo la moglie di Francesco del Giocondo, il cui ritratto è perduto o forse nascosto negli strati più antichi della Gioconda del Louvre, ma un’allegoria filosofica di quell’entità che Dante aveva chiamato Beatrice e Petrarca Laura. Si tratta di un’immagine dell’Intelletto, dell’essenza spirituale di Leonardo, che dimostrava quanto egli scriveva e cioè che il pittore era in grado di rappresentare concetti ideali con maggior efficacia del poeta. La genesi del dipinto è da cercare nel cenacolo filosofico che si riuniva presso Giuliano dei Medici, come Leonardo stesso ebbe a raccontare”. Nella sua architettura Firenze nasconde dei messaggi. Lei ha decifrato quello della basilica di San Miniato. Qual è? “Gli edifici sacri venivano costruiti utilizzando le stesse misure e proporzioni che la ragione individuava nell’universo. Così, radicati nella terra ma modellati sul cosmo, essi diventavano simbolicamente luoghi di passaggio fra terra e cielo, fra la dimensione della materia e quella dello spirito. San Miniato, le cui proporzioni geometriche compongono una sinfonia musicale analoga a quella delle sfere celesti, è una porta del cielo, come recita anche un’iscrizione sul gradino d’ingresso”. Un’altra sua scoperta è legata a una sorta di confraternita: i "fedeli d'amore". Chi sono? “La Vita Nuova di Dante è un’opera che, dietro l’apparenza della poesia d’amore, nasconde profonde allegorie filosofiche e teologiche. Queste ultime non si rivolgevano a tutti, come Dante stesso precisa, ma solo a quelli che egli definisce “fedeli d’amore”. La presenza nei loro versi di un significato nascosto, comprensibile solo a quanti possedevano la chiave per decifrarlo, fa pensare che i “fedeli d’amore” non costituissero un semplice movimento filosofico, ma una vera e propria fratellanza, le cui origini sono da cercare forse nella Provenza dei trovatori e della Cabbalà ma i cui esiti confluiscono nel Rinascimento fiorentino”. Firenze è stata una città che ha traghettato la cultura templare. In che modo? “I rapporti dei Templari con la classe mercantile e con le elite culturali fiorentine dovettero essere assai stretti, tant’è vero che proprio da Firenze si levarono voci autorevoli in loro difesa: dal cronista Villani, a Dante e Boccaccio. I templari avevano una sorta di terz’ordine nel quale ammettevano i laici. Se ricordiamo che il Tempio fu soppresso con sentenza non definitiva, si può pensare che i confratelli laici, sfuggiti all’epurazione, continuassero a riunirsi in segreto in attesa di una riabilitazione che poteva apparire prossima. Numerosi indizi inducono a credere che Dante, Boccaccio ed i “fedeli d’amore” fossero vicini ai Templari. Attraverso la loro filosofia, la gnosi templare sarebbe confluita nell’Umanesimo”. Che idea si è fatto del dipinto perduto di Leonardo, ‘La battaglia di Anghiari’, sotto il grande affresco del Vasari nel Salone dei Cinquecento? “Riportarlo alla luce è qualcosa di affascinante e da tentare, anche se probabilmente non è rimasto quasi nulla di quanto Leonardo aveva fatto. Altrimenti Vasari non lo avrebbe coperto”. Michele Brancale 

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