MANUELA PLASTINA
Cronaca

Una mano che si chiude per fermare la violenza: un video insegna a riconoscerla

La fiorentina Giuditta Pasotto in un video spiega il semplice gesto riconosciuto a livello internazionale per chiedere aiuto. In poco tempo diventa virale. "La violenza si ferma insieme"

Giuditta Pasotto e il segno per chiedere aiuto contro la violenza

Firenze, 17 marzo 2021 - Mano aperta, dita dritte serrate, il pollice si piega sul palmo, le altre dita si piegano su di lui. È il gesto che a livello internazionale viene riconosciuto come richiesta di aiuto in caso di violenza domestica. Un’azione semplice da poter fare senza che l’autore della violenza se ne accorga, approfittando di una videochiamata, della presenza del postino alla porta per consegnare una lettera, di un passante che ci guarda alla finestra dalla strada. Un gesto che se conosciuto, e dunque riconosciuto, può invitare a dare l’allarme, a chiamare le forze dell’ordine, a salvare una vita.

In queste ore sui social e sui gruppi Whatsapp sta circolando in maniera virale il video di due minuti di una donna che insegna a fare e riconoscere questo gesto. Lei è la fiorentina Giuditta Pasotto, diventata nota perché fondatrice di Gengle.it, rete di genitori single che oggi, a sei anni dalla sua partenza, conta oltre 100 mila iscritti. Giuditta, perché ha scelto di fare questo video? “Innanzitutto non è recente: l’ho registrato nel luglio scorso, ma non aveva avuto grande successo. Ora all’improvviso, senza che io lo rilanciassi, è diventato virale. È la stranezza del web, forse rafforzata dall’efferato omicidio di Sarah Everard a Londra o dai dati dell’aumento di casi di violenza domestica durante i mesi di lockdown, proprio in questo momento in cui il rischio di doverci richiudere in casa è elevato. Avevo scelto di fare questo video perché ritengo che sia importante far conoscere un segno semplice, quando fondamentale”. E’ soddisfatta dunque del fatto che sia diventato virale? “Il mio obiettivo è che si parli della violenza. Non deve essere argomento solo delle organizzazioni che si occupano di questo problema o delle vittime: ne devono parlare tutti, donne, uomini, ragazzini. Bisognerebbe insegnarlo a scuola, fin da piccoli”. Nel video, ha in braccio il suo terzo figlio. “Non è stato voluto: eravamo chiusi in casa e non si staccava un attimo da me. Ma la sua presenza può essere vista anche come l’importanza di parlarne coi nostri figli. Io ho tre maschi, tra loro giocano spesso alla lotta. Ma sanno che mamma non si tocca, che con me non devono neanche fingere di darmi una piccola botta. In questo modo, parlandone, spiegando, spero di insegnare loro il rispetto degli altri, a partire dalle ragazze e future donne, ma anche dei compagni. La violenza non si fa e allo stesso tempo non si sta a guardare nel caso si assista a episodi violenti o di bullismo”. Violenza dunque non solo di genere e non solo contro le donne. “Nessuna violenza. Bisogna parlarne, conoscere quali servizi offre il territorio per prevenirla e fermarla, i numeri di telefono per chiedere aiuto. La violenza arriva quando si è impreparati. Non possiamo sapere se un domani potrebbe succedere anche a noi: dobbiamo essere pronti e sapere come difendersi. Da esperta di comunicazione visuale, mi accorgo che spesso le campagne di sensibilizzazione rappresentano donne col volto tumefatto. Ma bisogna far vedere anche altro: le ferite non visibili e quelle interiori di una violenza psicologica da cui è difficile guarire, così come quelle che giorno dopo giorno, beffa dopo beffa, avvengono nelle case, nei gruppi, nei luoghi di lavoro. Le forme di violenza sono tante e fanno tutte male”. Il suo video viene condiviso anche da molti uomini. “E’ la vittoria più grande. Ho visto con piacere che in occasione dell’8 marzo sono stati organizzati flash mob al maschile. Non importa quanta gente abbia partecipato, condizionata anche dalle restrizioni del momento. L’importante è l’esempio che hanno dato. Uniti in questa lotta contro la violenza. Senza distinzione di genere”.