Un anno senza la festa del Giro

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Stefano

Cecchi

Hanno pedalato perfino in Ungheria, ma da qui, da Firenze, dalla Toscana tutta, quest’anno non passeranno. E ciò a suo modo è un piccolo dolore. Perché il Giro d’Italia non è solo un appuntamento di sport ma l’ultima grande festa popolare ambulante e gratuita, con paesi interi che scendono in strada attendendo per ore di intercettare l’attimo della corsa e quella ventata colorata che è il gruppo che sfila, e al cinema in quel momento vacci tu. Qualcosa di magico che fa bene, come testimoniano i ricordi della scorso anno, con le migliaia di fiorentini salite sui tornanti di Monte Morello a fare festa insieme ai corridori e a indicare un modello buono per tutto. Sì, il ciclismo come metro di vita. Come ultimo baluardo realizzato di un socialismo dal volto umano. Dove i premi del vincitore si dividono con tutta la squadra. Dove la condanna della fatica appartiene al gregario ma anche al campione. Dove dal ciglio della strada e dai paracarri si applaude indistintamente alla maglia rosa e all’ultimo in classifica. Dove ci si divide duramente in fazioni, democristiani bartaliani contro laici coppiani, proletari moseriani contro borghesi saronniani, toscani bitossiani contro il resto del mondo gimondiano, ma poi alla fine la borraccia la ci si scambia come fratelli nella sofferenza. Qualcosa che sta fra De Coubertin e don Milani. Il ciclismo, diceva Ormezzano, è la fatica più sporca addosso alla gente più pulita. Non è uno sport, è un genere al pari della musica lirica e del romanzo russo. Come loro, racconta il mondo indicando le cose per cui vale la pena e quelle da buttare. Per questo da ragazzino pensavo che se questo Paese fosse guidato dai tifosi del ciclismo, forse le cose andrebbero meglio. E siccome ciò a volte lo penso anche oggi, sapere che quest’anno il Giro d’Italia mancherà alla mia terra, mi crea un piccolo dolore. Il dolore di chi pensa che, come il 2 giugno o il Ferragosto, questa grande festa popolare che è anche un momento di vita, non dovrebbe mai mancare in terre come Firenze e la Toscana, piena di gente che ha conficcati dentro da sempre i valori di chi pedala spesso in salita. E che anche quando cade, è sempre pronta a risalire in sella non per necessità ma per piacere. Dici poco.

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