ERIKA PONTINI
Cronaca

Ucciso due volte. Dall’indifferenza e dai coltelli

Perché nessuno è intervenuto per cercare di salvare Maati, il giovane di 17 anni assassinato a Campi?

Firenze, 12 gennaio 2024 – Colpevoli di omertà, colpevoli di indifferenza. È colpevole chi ha ucciso Maati, 17 anni appena, nonostante l’aria da bullo ostentata sui social scimmiottando qualche rapper borderline. Sono colpevoli quanti lo hanno circondato (10-20 contro uno), quanti lo hanno picchiato mentre lui urlava di non aver fatto niente, chi lo ha accoltellato alla schiena come un vigliacco, mentre fuggiva solo e disperato in un’alba di festa, chi lo ha trascinato giù dall’autobus e prima gli ha inferto il fendente letale, mirando al cuore. E poi lo ha lasciato lì, agonizzante ma non ancora morto, ed è corso in casa a lavare il giubbino sporco di sangue sperando così di farla franca. Salvo poi piangere quando gli hanno stretto le manette ai polsi e non prima per aver strappato alla vita un ragazzino.

Ma sono colpevoli anche quanti hanno assistito alla scena del massacro senza alzare un dito, voltandosi dall’altra parte. Hanno visto un giovane fatto a pezzi come nei peggiori film della mala e non hanno telefonato per invocare soccorsi, non hanno tentato neanche di porre fine a quell’esecuzione pubblica che le telecamere della zona e quelle piazzate sull’autobus hanno immortalato in tutta la sua barbarie. Sì, la procura ha ricostruito il delitto di Campi come un’azione di una ferocia inaudita che si fa fatica a comprendere visto che gli attori sono, a loro volta, poco più che bambini divenuti mostri. Per caso, per noia, per non deludere il branco, per finire a mille giri una serata in discoteca. Qualcuno sembra aver impugnato la lama senza sapere nemmeno cosa fosse accaduto, di cosa fosse ‘colpevole’ Maati. Ammesso che esista una colpa per dover subire tutto ciò.

Sembra difficile oggi non domandarsi perché qualcuno, tra i testimoni sentiti dai carabinieri, non abbia reagito a quella scena. Quanti erano in strada a pochi metri dal pestaggio, quanti si trovavano a bordo dell’autobus - autista compreso, che dovrebbe controllare la chiusura delle porte prima di ripartire - quando Maati è stato afferrato per i capelli, trascinato sul predellino dell’uscita centrale, colpito a morte. Non certo in silenzio. Quell’immagine - per chi l’ha visionata - è agghiacciante. Sul ciglio del bus, supino, le braccia larghe, il viso di un cucciolo d’uomo terrorizzato. È la morte in diretta. Noi l’abbiamo visionata solo a distanza di dieci giorni in quel frame terribile. Qualcuno era lì invece, c’erano occhi che osservavano, orecchie che udivano. Troppo distratti? Troppo impauriti per intervenire o almeno provarci? Troppo indifferenti alla vita umana perché in fondo questi ragazzi - i nostri e i figli di immigrati - girano per le strade sembrando spesso piccoli delinquenti? Lo ha detto la mamma di Maati in un’intervista al nostro giornale. «Tanti occhi si sono voltati dall’altra parte». Troppi, aggiungiamo. Forse Maati non poteva essere salvato. Forse, o forse sì. Ma almeno sapere che qualcuno ci ha provato non lo ucciderebbe due volte, da una lama e dall’indifferenza.