LUCA SCARLINI
Cronaca

Tre volti di Firenze. Quando uscì il numero speciale per il centenario del giornale. Un secolo di carta stampata

Nel 1959 Emilio Cecchi lo storico critico letterario racconta la città in periodi storici diversi. Il rischio della spersonalizzazione in un luogo ricco di monumenti e il potere del Rinascimento.

Tre volti di Firenze. Quando uscì il numero speciale per il centenario del giornale. Un secolo di carta stampata

Tre volti di Firenze. Quando uscì il numero speciale per il centenario del giornale. Un secolo di carta stampata

La nostra epoca è stata così fitta di eventi, che senza bisogno d’essere decrepiti, s’è fatto in tempo a veder cambiare la fisionomia materiale e morale della città due o tre volte. Chi sa se tali cambiamenti, almeno quelli di maggior rilievo, furono oggetto di accurate e tempestive osservazioni documentazioni. Credo sia da dubitarne. E che per gli anni che all’incirca corrisposero alla nostra fan- ciullezza, all’infuori delle mappe catastali, non si vada più in là di quelle solite fotografie delll’ultimo Ottocento, che di tanto in tanto, sa qualche settimanale a roto- calco, vengono esumate in uno spirito fra parodistico e nostalgico. Al confronto della Parigi di trenta o trentacinque anni fa, e malgrado il neon e l’accresciuta

circolazione delle automobili, la Parigi d’oggi sembra retrocessa in una malinconica e lievemente avvizzita dignità ottocentesca, che del resto le torna benissimo a viso. Non sarà più il caso, nonostante il neon, di rievocare la Ville-Lumière; ma in fine dei conti, Parigi ci ha guadagnato d’intimità e di poesia. Sui mutamenti di Londra al principio del secolo, Max Beerbohm scrisse pagine finissime. Turgida e rossa di forza e d’orgoglio, avevamo veduto Londra alla vittoria della prima guerra. La rivedemmo intorno al 1930, al tempo della bella fioritura letteraria georgiana; e già pareva sentirsi meno sicura di conser- vare il suo ruolo di capitale del mondo finanziario e politico, che

presto infatti doveva esserle strappato dall’America di Roosevelt. Cotesta Firenze della fine del secolo e primi del successivo malgrado le sue amputazioni e lesioni edilizie e d’ogni altra sorta, che non si sarebbero più rimarginate, fu un centro di cultura assai avanzato e brillante. Basti pensare, lì nel bel mezzo alla città, una fondazione come il "Gabinetto Vieus seux" dove le tradizioni della Antologia, e dei colloqui del Tommaseo col Capponi, il Colletta, il Leopardi, non erano meno presenti anche se ridotte al modesto servigio letterario d’un prestito di libri. Io credo che soltanto la London Library fondata a Londra dal Carlyle nel 1841, abbia sopravanzato il "Vieusseux " in una funzione simile. Del resto: non soltanto in un raggio di poche centinaia di metri si potevano e possono consultare a Firenze i codici greci e latini della Laurenziana, e sfogliare in piedi allo scaffale, per una preventiva delibazione, i-vient-de-paraître al "Vieusseux". Qualche cosa di simile era per la pittura. E Firenze fu l’unica città italiana dove avanti la prima guerra, dentro alla stessa cerchia, Cimabue e Giotto convivessero con Renoir e Cézanne. A Firenze, gli Stein aveva- no infatti diversi Renoir. Nel- la raccolta Magnelli eranosculture negre, e collages di Picasso. Cézanne e Van Gogh erano rappresentati nella raccolta Sforni; come Pissarro nella galleria fiorentina d’arte moderna.

La Firenze della nostra adolescenza cominciò a cambiar volto con la prima guerra. E anche quando il regime si fu consolidato, e il tono della vita si rifece quasi tranquillo, i residenti stranieri che, in una città come Firenze, godevano del prestigio d’una particolare tradizione, non vi ritrovarono più l’aria d’una volta. Non che vi fossero segni di xenofobia. A parte ciò, nell’intervallo fra le due guerre, erano venute per altre cause rapidamente mutando anche le condizioni e la tecnica del turismo spicciolo. Non più gente, avvisata nello spendere ma non troppo gretta e frettolosa, e con qualche, pur modesta, aspirazione di cultura e di gusto. La nuova stazione ferroviaria, in faccia a Santa Maria Novella, ebbe l’effetto come d’una geniale "citazione" architettonica in un gusto voluto ed alieno che ancora, dopo decenni, non è riuscito bene ad acclimatarsi; ma con ciò non fece gran danno a nessuno. L’ultimo viso di Firenze, quello che oggi hanno appena finito di ricucire col filo bianco, e del quale stanno incerottando e rimodellando gli apostèmi: a straziarlo a quel modo, ci si erano dovute mettere addirittura le mine, le bombe ae ree e le artiglierie. Anche oggi, dopo quindici anni, lo strazio di Firenze ha nel ricordo un che d’assurdo, d’incredibile, e quasi direi, orridamente arcano. Il muratore riprendeva cazzuola e martello; chè gli uomini d’affari già avevano perfezionati i loro conteggi di come trasformare in guadagno il disastro.