ERIKA PONTINI
Cronaca
Editoriale

Alla Pergola non servono padri-padroni

Il Teatro della Pergola

Il Teatro della Pergola

Ventincinque anni sono tanti, probabilmente troppi, per dirigere un teatro, lo stesso teatro, e non considerarlo alla fine come casa propria, con tutte le ombre di un rapporto che rischia di diventare totalitario. E’ la vicenda di Marco Giorgetti, ancora direttore del Teatro della Toscana.

Da padre padrone piuttosto che da manager, con quegli atteggiamenti che caratterizzano chi è convinto di avere la verità in tasca. Una sorta di deus ex machina. Niente di drammatico se quella casa non fosse una Fondazione finanziata quasi per intero con soldi pubblici, qualcosa come 7 milioni provenienti da Stato, Regione e Comune, e quindi con i soldi dei cittadini che pretendono trasparenza e gestione oculata nelle spese. 

Sarebbe tutto normale se chi dirige il teatro non venisse lautamente pagato con gli stessi fondi. E nemmeno questo è scontato in un momento in cui le famiglie faticano ad arrivare a fine mese. Gli imprenditori rischiano in proprio, i manager amministrano i soldi pubblici e ciò dovrebbe indurli a gestire anche le aziende-teatro con oculatezza e etica, lasciando da parte l’egotismo che alla fine diventa il peggior peccato.

Realizzare produzioni internazionali che costano tanto e incassano poco, e poi salire sul palco a Parigi come attore sono situazioni che non aiutano a difendere certe contestate scelte economico-artistiche dinanzi ai soci. E, a proposito di soci, un motivo ci sarà se un prestigioso ente come la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze ha ritenuto di uscire dal carnet dei fondatori. Ha poco di politico ma tanto di gestionale, considerando che a dirigere la Fondazione Cassa c’è un professionista (Gabriele Gori) che vanta nel suo curriculum ruoli di primo piano in SanPaolo Imi e Mps. Di conti, qualcosa insomma ne capisce.

No, la Pergola non è un altro Maggio, la cui vicenda è infatti finita in tribunale. E probabilmente parte delle ‘colpe’ non sono tutte della gestione del direttore generale Giorgetti, in sella dal ’99, sulla graticola da mesi, accompagnato velocemente alla porta (anche se resta da risolvere la questione non semplice del come), e difeso dal governo di centrodestra per il suo brillante curriculum che nessuno mette in discussione. Spesso anche la politica, per ottenere consenso, eccede nel suo ruolo nei confronti degli enti e si appropria di scelte che non le competono, peggio se si tratta di contenitori culturali. A Firenze è accaduto anche questo.

Ma anche se la Pergola non ha il perimetro giudiziario del Maggio adesso è un nodo, e non di poco conto, da sciogliere, evitando che diventi un bagno di sangue economico. Ma altrettanto resta una bruttissima pagina per la categoria dei manager pubblici il non riuscire a restare lucidi e sereni in caso di tempeste, prendendo atto di scelte che, anche se non condivise, vanno accettate. Senza inquinare i pozzi (come purtroppo è accaduto), assumendosi l’onere dei propri comportamenti e, soprattutto senza far diventare il teatro un campo di battaglia. Perché non è detto che tutte le storie debbano finire come Saturno che divora i suoi figli.

Non è necessario scappare dalla sala se non si vuole parlare con i giornalisti. Osannati se raccontano ciò che torna comodo, offesi in caso contrario. Farsi le ossa nel privato aiuterebbe tanti manager a ripensare che il pubblico non è un bancomat senza esaurimento scorte. Ma restano ancora due mondi troppo distanti. Purtroppo.