Sport e Covid, il tecnico toscano: "Con l'ultimo decreto una mazzata per i Dilettanti"

Parla Giacomo Grassi, responsabile per la federazione Italiana nuoto delle squadre nazionali giovanili femminili di pallanuoto

Giacomo Grassi a bordo piscina

Giacomo Grassi a bordo piscina

Firenze, 20 ottobre 2020 - Secondo l’ultimo censimento svolto nel 2016 l’attività sportiva promossa in Toscana dalle 45 Federazioni Sportive Nazionali e dalle 19 Discipline Sportive Associate, riconosciute dal CONI, coinvolge oltre 320 mila atleti tesserati e può contare su oltre 4 mila e 500 nuclei associativi.

Gli operatori, che svolgono attività di supporto e sostegno alla pratica all’interno delle organizzazioni societarie e federali, sono oltre 87 mila. Nel complesso le FSN e le DSA raccolgono 400 mila tesserati. In tutto il 12% della popolazione toscana. Da ieri questo mondo così variegato e vitale si trova a dover fare i conti con un altro, improvviso, lockdown.

Un fermo parziale, perché gli allenamenti individuali saranno comunque permessi in regime di sicurezza, ma sostanziale, in quanto ferma la massima parte delle competizioni e rende problematico lo svolgimento anche della preparazione.

"Con queste regole diventa molto difficile continuare” dice sconsolato Giacomo Grassi, responsabile tecnico per la federazione Italiana nuoto delle squadre nazionali giovanili femminili di pallanuoto. “Ad esempio, il nuoto individuale, che sembra non essere toccato al momento, era già alle prese con l’affanno delle società a confrontarsi con le prescrizioni arrivate da maggio: numeri ridotti per l’utenza, difficoltà nell’accesso agli spogliatoi e alle docce. Molti degli impianti che abbiamo sono vetusti e con locali inadeguati ai numeri che normalmente frequentano le piscine. Il risultato è che già ora tutti gli impianti stanno lavorando sotto regime con enormi problemi legati agli introiti soprattutto se rapportati alle spese che tutti i gestori hanno dovuto subire alla riapertura della attività”. “Lo sport dilettantistico rappresenta il 90% mondo sportivo in Italia - sottolinea Grassi - sono pochissime le discipline che si richiamano al professionismo. Stiamo parlando dunque della stragrande maggioranza delle persone che praticano sport nel nostro Paese”

Poi c’è la questione delle competenze anche a livello ministeriale in una fase delicata come questa. “La frustrazione è vedere che persone che devono legiferare sul nostro mondo in questo periodo tendono ad usare termini completamente inappropriati, confondendo, ad esempio, lo sport amatoriale con l’attività dilettantistica: io dico che molti di loro boccerebbero ad un esame di diritto privato”, sottolinea amaramente Grassi.

Che aggiunge: “Ci piacerebbe che ci fosse almeno un minimo di chiarezza:fa specie che dopo ogni decreto ci vogliano decine e decine di chiarimenti e specifiche su quello che si intendeva dire, il che la dice lunga sul livello di approssimazione con cui dobbiamo confrontarci. Ad esempio siamo molto in difficoltà nel capire a tutt’oggi per cercare di interpretare al meglio quello che è previsto dal decreto ultimo : si parla di sport provinciale non accessibile, ma pare le competizioni regionali si possano fare. Che senso ha?”

Oltre al danno c’è poi la beffa: “Non nego che viviamo con estremo disagio la questione della settimana di controlli perché i gestori di palestre e piscine si sono messi in regola già da maggio, sopportando delle spese non indifferenti, mentre sembra che siamo degli sprovveduti o peggio.”

Ma cosa chiede lo sport dilettantistico al Governo? “Innanzitutto - dice Grassi - che venga trattato allo stesso di altri comparti lavorativi o di vita associativa del Paese. E poi che vada affrontata una volta per tutti la questione delle questioni che riguarda la proprietà e la gestione degli impianti. Nella stragrande maggioranza dei paesi europei gli impianti sono di gestore pubblica, con lo Stato o le singole autonomie territoriali che investono molti soldi nel mantenerli in perfetta funzione, mentre le società sportive devono solo preoccuparsi di fare quello che è il loro lavoro, ovvero  della pratica sportiva. In Italia invece negli ultimi decenni siamo andati sempre più verso l’assegnazione degli impianti a società private che in molti casi nel tempo si sono trasformate in delle vere e proprie holding che gestiscono una pluralità di impianti, e non hanno alcun interesse a radicarsi nel territorio, o lo fanno solo fino a quando ne vedono la convenienza. Sarebbe auspicabile si facesse un’inversione di tendenza. Gli impianti pubblici devo essere pubblici “.

 

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