Giovanni
Pallanti
Rodolfo Siviero ormai è un personaggio della leggenda dello spionaggio italiano. Era nato a Guardistallo nel 1911 ed è morto a Firenze nel 1983. L’ho conosciuto bene. Nel 1946 il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, lo nominò ministro plenipotenziario, incaricato della ricerca delle opere d’arte e dei beni culturali trafugati dai tedeschi dal 1943 al 1945. Prima di questo incarico, Siviero era stato nel servizio segreto militare e si era già occupato di monitorare i tedeschi negli anni Trenta. A Berlino visse come un italiano dal portamento signorile ed esperto d’arte. In realtà era una spia. Subito dopo ricevuto l’incarico dal governo italiano per il recupero delle opere d’arte, si mise alla caccia di un gruppo di militari tedeschi che, agli ordini di Rosenberg, aveva trafugato opere d’arte di grande valore, dai musei e dalle case private italiane. O intere biblioteche come quelle del collegio rabbinico e della comunità ebrea romana.
L’ho conosciuto nella bottega del suo restauratore e falegname di fiducia, Giovanni Pelli, in via Santa Maria. Quando arrivava lui, con una timida occhiata, Giovanni Pelli invitava a uscire chi era nella bottega, per rimanere solo con Siviero. Ero un ragazzo e per curiosità mi feci raccontare dal Pelli, chi fosse quell’uomo magro ed elegante. Poi lo rincontrai, o meglio: Luigi Cappugi, consigliere economico di Giulio Andreotti, mi disse che Siviero mi voleva vedere. Era il 1975 e da poco tempo ero stato eletto consigliere comunale di Firenze. Siviero ricevè me e Cappugi nel Palazzo dell’arte dei beccai, dove ha sede l’Accademia delle arti del disegno, di cui era presidente. Appena entrato mi disse che i democristiani erano dei rammolliti e che per il mondo era un brutto esempio che Firenze fosse caduta in mano ai comunisti: dovevo fare un’opposizione dura come solo un giovane poteva mettere in atto. Un personaggio, Siviero, difficile da dimenticare. Praticamente unico.