Rifondiamo le menti non i banchi

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Segue dalla Prima

Umberto

Cecchi

Un tema che potrebbe partire solo da Firenze, dove di scuola, nell’otto e Novecento, si era parlato molto. L’ultima vera riforma l’aveva fatta, un ministro fiorentino, e per mezzo secolo è rimasta immutata salvo alcuni peggioramenti. Oggi il virus avrebbe potuto offrire l’occasione per una riflessione su una nuova scuola legata agli anni Duemila. E dove impostarla se non a Firenze, patria della cultura e della lingua italiana, della quale ospiterà presto il museo?

Non sarebbe male se superato il pasticcio degli spazi, delle distanze, si fosse affrontato anche il problema dei programmi e dell’insegnamento. Delle lezioni in audio-video con gli studenti in casa e i docenti a scuola, che rischiano di tagliare ancora più di netto una serie di legami sociali che si vanno sempre più rarefacendo. Il pc è una gran risorsa del futuro, ma sta isolando una buona parte di giovani, sia in famiglia che in società. E se questo è un problema grave da affrontare quello dell’insegnamento è basilare. Si insegna ancora con un sistema e un linguaggio vecchio mentre la lingua evolve: i nostri giovani usano un numero di parole minimo, e oltre non vanno. Dovrebbe essere Firenze a lanciare l’imperativo di una riforma, puntando proprio sulla lingua italiana, visto che è la patria del poeta che ‘mostrò ciò che potea la lingua nostra’. Nel tempo ho ascoltato alcune lezioni che facevano riflettere fra l’altro, sia per l’uso della lingua che per la scarsità della storia patria. Si ignora, quasi del tutto, per esempio il Risorgimento che gli italiani conoscono appena. Insomma Firenze ne è votata per ruolo e tradizione, cerchiamo dunque di approfittare del coronavirus per rifondare la scuola. Non i banchi, ma le menti.

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