
Indagini della Direzione Antimafia
Firenze, 1 giugno 2023 – Presunto traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi. Otto le aziende coinvolte nelle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Firenze e cinque le persone denunciate. Le ditte coinvolte sono attive nella gestione dei rifiuti speciali e l’ispezione della Dda era mirata sulla verifica di ciclo produttivo, campionamento dei rifiuti gestiti e delle M.P.S. (materie prime seconde) ottenute dal loro recupero. Non solo. Sono state effettuate anche perquisizione locale, personale e informatica nei confronti delle 8 aziende attive, a vario titolo, nella gestione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, e di un laboratorio di analisi di rifiuti.
I provvedimenti della Dda sono stati eseguiti tra martedì 30 maggio e ieri, mercoledì 31 maggio, dai militari del Nucleo operativo ecologico carabinieri di Firenze, coadiuvato dal Noe del Gruppo Roma del comando carabinieri per la tutela ambientale e la transizione ecologica e dai reparti dell'Arma territoriale nelle province di Firenze, Arezzo, Roma, Viterbo, Pisa e Brescia. Cinque le persone indagate dalla Dda.
L'attività d'indagine, da quanto si apprende, ha interessato in particolare l'azienda Chimet di Badia al Pino (Arezzo), specializzata nel recupero degli scarti di metalli preziosi. Secondo gli inquirenti, il traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi, quantificato in circa 84.000 tonnellate avviate al recupero e 12.000 tonnellate avviate a smaltimento, si sarebbe perpetrato dal 2012 allo scorso mese di maggio, e sarebbe stato attuato "mediante la declassificazione di rifiuti speciali pericolosi (contenenti sostanze altamente contaminanti), in rifiuti non pericolosi avviati, fino al novembre 2021, al recupero, presso impianti compiacenti e con la predisposizione di documentazione ad hoc, i quali li recuperavano fittiziamente, non essendo autorizzati alla ricezione dei rifiuti pericolosi, facendone perdere lo status di rifiuto e la conseguente tracciabilità, mediante la produzione di aggregati riciclati non legati, commercializzati come M.P.S (materie prime secondarie) ad aziende, allo stato terze non indagate, attive nel settore dell'edilizia".
Il tutto, spiega la Dda fiorentina in una nota, "con il conseguimento di un ingiusto profitto, al momento quantificabile in almeno 21 milioni di euro, per il solo produttore, derivanti dal risparmio economico ottenuto avviando il rifiuto al recupero, con codice EER non corretto, con enormi guadagni, ipotizzati in circa 5,7 milioni di euro, anche per la filiera successiva, che grazie a tale escamotage, si è garantita la ricezione dei rifiuti anzidetti, che avrebbero diversamente dovuto essere avviati ad impianti autorizzati".
In una propria nota l'azienda Chimet aveva precisato che la perquisizione effettuata dai carabinieri del Noe è stata "l'ennesima verifica riguardante il codice attribuito al rifiuto risultante all'esito del processo di recupero dei metalli preziosi", e "nello specifico, il controllo si è incentrato sul conferimento di tale rifiuto, ai fini del suo recupero, a un impianto del Viterbese che si è protratto, sotto il costante controllo di Arpa Toscana e Lazio, Regione Toscana e Regione Lazio, dal 2012 al 2021", per questo "l'azienda è fermamente convinta di aver sempre attribuito un corretto codice al rifiuto, in ciò confortata dai sistematici e approfonditi controlli cui è sempre stata sottoposta".