MARCO
Cronaca

Quel vecchio seduto al tavolo. Mi pareva di conoscerlo bene

Durante i miei viaggi mi fermavo a mangiare nei posti più disparati, ristoranti chic e vecchie bettole

Vichi

Per lavoro mi ero trasferito in un’altra regione, e mi capitava spesso di viaggiare da solo, di fermarmi a mangiare o a bere un bicchiere nei luoghi più disparati. A volte mi piacevano i bei ristoranti, altre volte sceglievo una trattoria fuori mano, una bettola o un’osteria di paese. Una sera verso le nove mi fermai in un’osteria vicino a Parma, non lontano dal paesino di Peppone e Don Camillo. Doveva essere rimasta più o meno uguale a com’era nel dopo guerra. Poca luce, silenzio, odore di antico. Quello che mi ci voleva in quel momento. Oltre a me c’era solo un vecchio che intravedevo nella penombra, seduto in fondo alla stanza. A quell’ora dovevano essere tutti a cena. L’oste era un sessantenne con il naso gonfio e arrossato dei bevitori, e si muoveva lentamente. Ordinai un panino con il prosciutto tagliato a mano e un bicchiere di vino rosso, e mi sedetti in un angolo a mangiare. Il vecchio seduto nell’angolo opposto fissava il vuoto, ma non sembrava rincitrullito, aveva l’aria di chi sta pensando a qualcosa di doloroso. Mi misi a osservarlo. Soprattutto nei posti più popolari mi piaceva guardarmi intorno, studiare le facce delle persone, più che altro i vecchi, per cercare di decifrare la loro vita dagli sguardi, dalle rughe che correvano sulla pelle raccontando dolori e sconfitte più di ogni altra cosa. Era un gioco che mi accompagnava fin da quando ero ragazzo, magari sull’autobus, o in coda all’ufficio postale. Quel vecchio aveva l’aria di chi si portava sulle spalle un macigno. Dopo un po’ incrociai il suo sguardo, solo un secondo, e in quel momento mi sembrò di riconoscerlo… Ma chi era? Non lo conoscevo di persona, questo era sicuro. Probabilmente era stato famoso, ai suoi tempi. Ogni volta che alzavo lo sguardo lo vedevo fissare il vuoto come prima. Continuavo a guardarlo, per cercare di capire chi fosse, e un certo punto vidi che si asciugava gli occhi con le dita. Stava piangendo? O era solo stanchezza? Di nuovo mi lanciò un’occhiata, questa volta più lunga. In quel momento capii chi era… Be’, non ero proprio sicuro che fosse lui, ma di certo gli somigliava parecchio. Lui abbassò lo sguardo e fece oscillare leggermente il capo, come se stesse dicendo di no, come se nella sua mente stesse disapprovando qualcosa…

Ero troppo curioso, anche di sapere se era davvero lui: un pugile che negli anni Settanta vinceva sempre per K.O. senza poi fare nessun gesto di trionfo. Finii il panino, presi il mio bicchiere mezzo pieno e mi avvicinai al vecchio, che si voltò appena verso di me con aria leggermente stupita. Gli chiesi con lo sguardo se potevo sedermi al suo tavolo, e lui annuì in modo quasi impercettibile. Appoggiai il bicchiere vicino al suo e mi sedetti di fronte a lui. Il silenzio dell’osteria imponeva di parlare piano, di sussurrare… "Mi scusi, lei è…" Poi con i pugni chiusi feci un gesto che non lasciava dubbi. Lui annuì di nuovo, fece un sorriso triste e non disse nulla. Lo guardavo, e a un certo punto sentii che stava per raccontarmi come mai fosse così triste. Ne ero sicuro. Mi misi tranquillo, bevendo ogni tanto un sorso di vino. A un tratto lui mi guardò dritto negli occhi. "Oggi ho seppellito il mio migliore amico" disse in un bisbiglio. "Mi dispiace…" "Siamo diventati amici dopo essere stati nemici, come a volte succede" continuò il vecchio pugile. Sorrisi, ma non fiatai. E dopo un minuto lui cominciò a raccontare. Quando avevano diciassette anni, lui e il suo amico, Oreste, andavano nella stessa palestra di pugilato. Si allenavano insieme, erano compagni di cazzotti, ma non erano amici, si vedevano solo in palestra. "Allora avevo una fidanzata, molto carina ma piuttosto allegra, come si diceva allora…" E una volta un altro ragazzo della palestra gli sussurrò che lei se la faceva proprio con Oreste. Lui stinse i denti. Era troppo orgoglioso per dire qualcosa, ma sapeva come fargliela pagare. Quella sera, quando salirono sul ring, quello che doveva essere un allenamento a poco a poco diventò un’altra cosa. Lui cominciò a picchiare come se stesse combattendo per il titolo mondiale. Ovviamente Oreste non se lo aspettava, e dopo aver incassato un bel po’ di colpi, quando riusciva ad abbrancarlo gli chiedeva nell’orecchio cosa stesse succedendo, ma lui non rispondeva e continuava a picchiare forte, sempre più forte… Stese Oreste, che ancora non era suo amico, e quando lo vide al tappeto dovette trattenersi per non prenderlo a calci. L’arbitro cominciò a contare, e quando arrivò al nove Oreste si rialzò a fatica, con uno sforzo di volontà.

1-continua