Sciocco, corpi disabitati, smarimettere: parole toscane fra quotidianità e sorpresa

L'Accademia della Crusca ci guida alla scoperta della lingua con particolare attenzione alle espressioni che fanno parte della nostra quotidianità: ecco qualche esempio

Tempo di Libri

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Firenze, 8 agosto 2022 - "Apri la cannella", "E' sciocco", "Corpi disabitati!"... è la lingua toscana bellezza! E l'elenco potrebbe continuare all'infinito. Di tutte queste parole l'Accademia della Crusca ne ha fatto un compendio 2.0. La rubrica "Parole toscane" che ha preso il via dal primo agosto e prevede un post al giorno sul profilo facebook per scoprire il significato di una parola tipicamente usata solo nel Granducato che fu. Lessico regionale toscano, c'è di che sbizzarrirsi: ventitré brevi schede dedicate a parole provenienti da diverse aree geografiche: alcune saranno note a molti, altre meno famose, parole di uso comune, più o meno famigliari a seconda del campanile.

E così cencio al posto di straccio o sciocco per significare non salato: queste e altre peculiarità della nostra lingua sono spiegate dalla più autorevole delle fonti, via social. Curiosità che suscitano seguito, certamente, e in qualche caso anche dibattiti. Sì perché quello che si dice a Lucca non si intende a Firenze e viceversa. Quello che a Pisa significa una cosa a Grosseto può volerne dire un'altra. Non solo, nel ricchissimo mondo lessicale dei campanili, la tradizione si tiene bene stretta, ancorata al territorio. Così, laddove smarimettere significa cominciare a usare qualcosa, c'è chi si affretta a commentare a margine del post che a Pisa invece si dice "incignare", così come anche ad Arezzo. 

Ecco alcune curiosità da scoprire della rubrica a cura dell'Accademia della Crusca:

Sciocco

Bando alle contrapposizioni, che, si sa, a noi toscani garbano parecchio, è davvero affascinante risalire all'etimologia dei terminiche fanno parte della nostra quotidianità. Prendiamo un termine su tutti: sciocco. Con dovizia di particolari Dalila Bachis spiega: "La parola "sciocco" naturalmente è italianissima, se usata in relazione a una persona che ha o denota scarsa intelligenza; ma è solo toscana se usata in riferimento a cibi, cioè con il significato di 'scarso di sale'. Secondo un presupposto scherzoso non insolito in Toscana, "sciocco" è colui a cui il prete non ha dato il sale al momento del Battesimo. È un dialettismo di cui non si ha consapevolezza, adoperato anche da persone colte. Sciocco non è mai ambiguo, soprattutto perché viene adoperato in contesti diversi. Inoltre lo "sciocco" italiano e lo "sciocco" toscano non appartengono esattamente allo stesso registro, allo stesso livello di lingua: il primo è raro nell’italiano corrente mentre il secondo è normale nell’àmbito familiare. Per quanto riguarda il significato, "sciocco" si contrappone sia a “salato” sia a “saporito”; le due accezioni però hanno larga possibilità di sovrapporsi e risultano dunque oggettivamente difficili da separare. Comunque è certo che "sciocco" ha per tutti una connotazione negativa: ciò che è gradevolmente insipido non è mai sciocco".

Ancora più interessante è scoprire che probabilmente l'accezione toscana è anche quella più antica. Secondo la spiegazione infatti: "Chiudiamo con un dubbio sull’etimologia: viene prima il significato astratto della forma, 'stupido, insignificante', o quello concreto, 'scarso di sale, privo di sapore'? È più probabile che il valore primitivo sia quello concreto: "sciocco" dovrebbe derivare da *exsuccum, parallelo a exsūcus ['senza succo'] del latino classico".

Corpi disabitati

Neri Binazzi spiega invece il senso dell'espressione corpi disabitati: "Qualche tempo fa abbiamo detto che le avventure di Pinocchio sono per tanti versi la testimonianza di un mondo attraversato da miseria e povertà. Dove la fame, dunque, regna sovrana. E quando allora capita di mangiare, come succede per esempio al Gatto e alla Volpe all’osteria del Gambero Rosso, i protagonisti vedono bene di riempire all’inverosimile uno stomaco che per troppo tempo non ha visto cibo. Che è stato, per dirla alla fiorentina, un corpo disabitato. È un’espressione che Collodi richiama puntualmente, quando scrive: “Pinocchio non mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un quartiere rimasto vuoto e disabitato da cinque mesi”.

Nell’espressione esclamativa "corpi disabitati!", usata per descrivere un mangiare a più non posso, smodato e irrefrenabile, il cibo che manca viene evocato come se fosse una presenza fisica, l’abitante di un luogo che in sua assenza assume l’aspetto desolato e innaturale di una casa vuota, abbandonata. L’espressione, tra l’altro, ci dice anche che a Firenze "corpo", tradizionalmente, vuol dire 'stomaco', tant’è che una "corpata" è un altro modo per chiamare un’abbuffata, che a sua volta è il sistema grazie al quale, dopo tanta forzata astinenza, ci si leva le grinze dal corpo".

Cannella

Nel post a cura di Veronica Boschi viene disambiguata una volta per tutte la parola cannella: "Quando sentiamo parlare della "cannella", la prima cosa che viene in mente è la spezia che si usa in cucina, ma i toscani pensano a tutt’altro: ovvero al rubinetto dell'acqua! "Cannella" è il diminutivo della parola "canna" e, per analogia alla forma di una piccola canna cava dentro, il termine è usato anche per indicare un piccolo condotto, il condotto di una fontana o anche il tubicino con cui si estrae il vino dalla botte.

Esistono varie espressioni proverbiali sulla cannella. Il Vocabolario della Crusca traduce il detto latino "fenestram aperìre" con la locuzione "mettere una cannella", da intendere nel significato di ‘mettere una mala usanza’ ovvero prendere un’abitudine che sarà poi difficile da eliminare, come nell’esempio ‘messa una volta la cannella non si torna più indietro’. "Mettere la cannella in malo luogo" significa invece far prendere una brutta piega alle cose, ne troviamo attestazione in Marchionne che nel 1378 scrive "di che in malo luogo si mise la cannella, e sì lo cassarono dall’uficio".

Esiste poi l’espressione "levar la cannella", in riferimento al rubinetto da cui esce il vino che si spilla dalla botte, il cui significato figurato sembra incerto: alcuni autori affermano che la locuzione indica il diventar avaro, altri la traducono con ‘togliere la vita', il Vocabolario Universale Italiano sostiene invece che l’espressione si riferisce al ‘desister di far una tal cosa’. Infine, se vi dovesse capitare di sentire parlare della cannella del collo sappiate che l’argomento della discussione è la gola".

Cencio

Monica Alba spiega: "La parola "cencio", diffusa e utilizzata in tutta la Toscana, ma conosciuta anche nel resto della Penisola come sinonimo di "straccio", veicola un ricco ventaglio di significati legati all’ambiente domestico. Indica 'un qualsiasi pezzo di tessuto vecchio, sciupato e da buttare', 'lo straccio usato per pulire il pavimento o per stirare' e in senso dispregiativo anche 'il fazzoletto da testa' o 'una persona in pessimo stato'.

Parola molto antica, che circola a Firenze già dalla fine del Duecento, "cencio" ha dato origine a una lunga serie di modi figurati e proverbiali, largamente attestati dal Vocabolario del fiorentino contemporaneo, come: "vedersi quando il diavolo scòte i cenci" 'vedersi sporadicamente'; "non sentirsi nei propri cenci" per 'sentirsi male'; "essere fatto di cenci disfatti" 'essere privo di energie' e "cascare come un cencio" 'svenire'. La serie di espressioni è ancora lunga, ma potremmo ricordare: "mettere tutti i cenci alla finestra" per 'far sapere a tutti i fatti propri'; "pigliare cenci e òssi", nel senso di 'accontentarsi di ogni cosa' e "scegliere un cencio di moglie / di marito" per 'scegliere una moglie o un marito qualsiasi'.

Inoltre, in gran parte della Toscana, i "cenci" sono per antonomasia i dolci di Carnevale. Questi sottili rettangoli di pasta fritta e inzuccherata sono diffusi in Italia con tantissimi nomi diversi. Per indicare queste delizie Pellegrino Artusi, autore della celebre Scienza in cucina – in ossequio al modello manzoniano di lingua – scelse proprio la forma "cenci", parola di viva fiorentinità ma anche dolce di straordinaria bontà".

Cascare

"Il verbo "cascare" nasce come forma toscana della tradizione letteraria, la cui vitalità è confermata dall’ampia fraseologia, per esempio "cascare dalle nuvole", "cascare dal pero", "cascare le braccia" e dalla produttività di composti tipo "cascamorto". Nella seconda metà dell’Ottocento "cascare" comincia a essere definito come forma più familiare rispetto a "cadere" - spiega Francesca Cialdini - I dizionari dell’uso contemporaneo definiscono "cascare" come familiare e ne riportano l’uso a un contesto informale; mettono anche in risalto la produttività del verbo in particolari locuzioni come "cascare in piedi", "cascare dal sonno", "far cascare le braccia", "cascare dalle nuvole".

"Dal punto di vista della distribuzione sul territorio, in contesti informali "cascare" prevale su "cadere" in Toscana (in città come Firenze, Livorno, Siena e Prato), ma anche a Roma e all’Aquila. Della coppia verbale cadere/cascare, "cadere" contrassegna senza dubbio lo standard e non ha connotazioni regionali e di registro, mentre "cascare" oggi viene utilizzato soprattutto nelle espressioni idiomatiche e la sensibilità nel suo uso varia regionalmente".

Smarimettere

"Smariméttere" o "smarimèttere" (con la pronuncia aperta della vocale "e") vuol dire cominciare a usare, consumare qualcosa di nuovo, intero, soprattutto di genere alimentare, spesso in confezione chiusa: si smarimette il pane, un salume, un barattolo di marmellata, un pacco di biscotti, una bottiglia di vino o d’olio.

Questa forma, tutta toscana, presente nella provincia fiorentina, è propria dell'Empolese e della Valdelsa, di Pistoia e dell'area pratese. Il verbo è una variante, col prefisso intensivo "s-", di "marimettere", diffuso a Firenze e Siena, e attestato, attraverso l’alta Maremma, fino all'Isola d'Elba. A sua volta "marimettere" è forma dissimilata di "manimettere", ovvero "manomettere", nell’accezione disusata di 'mettere mano a qualcosa'. Un concetto, quello del primo utilizzo di qualcosa, che si trova espresso, nella Toscana centrale, anche da altri verbi come "principiare", "avviare", "inviare", "partire", oppure, in Garfagnana e lungo tutta la costa, da "incignare", che ha un’area d’impiego più vasta e generica, e vale 'inaugurare, rinnovare'.

L’uso così concreto di "smarimettere" non ne esclude un altro, figurato: in senso ironico, in espressioni come "l'ha’ smarimessa la macchina nova!", per il primo graffio sull'auto fiammante; oppure in un altro senso che sa di saggezza d'altri tempi, quasi di poesia: non dobbiamo disperarci troppo se nell'arco della giornata non siamo riusciti a portare a termine tutto quello che avremmo voluto. L'indomani è tutto disponibile per noi, per i nostri progetti e sogni, ancora integro… domani "un l'ha smarimesso nessuno!". Così spiega il post a cura di Mariella Canzani.

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