EMANUELE BALDI
Cronaca

Neve, castagne e un paese che non si arrende "Entrammo ragazzine, la fabbrica qui è vita"

Viaggio a Marradi dove la proprietà dell’Ortofrutticola del Mugello ha deciso di spostare in Lombardia la produzione dopo 38 anni. I dipendenti, quasi tutte donne, presidiano l’azienda simbolo del territorio. "Ci siamo spaccate la schiena, senza siamo perdute"

di Emanuele Baldi

"Forsa, forsa che son belle pronte". Graziano, cioè ’Grassiano’, mescola con arte fisica i marroni bollenti, il fuoco gli scalda le mani nodose, impermeabili all’aria che frizza di neve fresca.

Quassù – scavalcato il passo della Colla che è un intestino veriticale di roccia e alberi la ’c’ aspirata piomba di schianto e poi plana morbida nella ’s’ rotonda del primo nord – la cerniera geografica diventa antropologia morale e fonde il tosto piglio toscano all’allegra laboriosità romagnola.

Marradi, tremila anime incapsulate nella terra che partorì le irrequietezze di Dino Campana, è fatta di pasta spiccia e solida. Gente avvezza al dovere, prima, e al godere eventualmente poi.

Le castagne, i marroni insomma grossi e dolci, sono da sempre la moneta ufficiale di un popolo che alternative ne ha – geograficamente – giocoforza ben poche; "che vuole che altro faCciamo qua che ci vuol un’ora solo per andare a Borgo San Lorenzo...". E poi anche una volta lì?

Firenze figuriamoci, da qui è poco più che un certificato territoriale. Ravenna, la cui provinciona scatta oltre il torrente Lamone, grossomodo stessa cosa.

E sicché l’"Ortofrutticola del Mugello", in slang la ’fabbrica dei marroni’, dove lavorano un’ottantina di persone e conferiscono i frutti altrettanti castanicoltori di zona, è necessariamente centro di gravità permanente del paese dal 1984. E ora che la proprietaria dell’azienda, la Italcanditi, a sua volta controllata da un Fondo d’investimento, ha fatto andare di traverso il panettone a tutti annunciando lo spostamento di tutta la produzione – tempo zero, il 30 gennaio – in provincia di Bergamo è impossibile non comprendere il (pur composto) psicodramma di una comunità per cui i Marron glacé, forgiati da mani esperte e richiestissimi dalle più grandi industrie dolciarie, sono qualcosa più di uno stato d’animo. D’altra parte l’home page del sito dell’azienda dice tutto: "Una volta a Marradi i marroni erano il pranzo. E la cena. E il pranzo del giorno dopo. Così i montanari s’inventavano le ricette per poter variare il loro desco. “I Plè”, la minestra di marroni sbucciati, cotti con sale e erbe del bosco. Il ripieno dei tortelli. O ci si farciva il tacchino o la carne: ma solo di festa".

Monica ha iniziato a pelare i marroni nel 1986. "Avevo 19 anni, mi ci son spezzata la schiena qua dentro. E ora cosa faccio? Chi mi ci porta in pensione?" dice mentre davanti ai cancelli della fabbrica del distrettino industriale di Sant’Adriano, appoggia sul tavolino, apparecchiato con il pranzo offerto dai commercianti del paese, il bicchiere di plastica pieno di prosecco che insieme a un quadrettone di schiacciata alta al prosciutto e fontina, scalda un filino l’anima in questi giorni torvi.

Tra le bandiere dei sindacati della Cgil e della Cisl, dei lavoratori dell’acqua Panna, degli striscioni con guizzi di ironia strappati alla rabbia composta di questa gente ("Non rompeteci i marroni") si affastella un’umanità che si specchia nelle stesse radici, immutate negli anni. "Tante delle nostre famiglie qui avevano un castagneto. Ci siamo cresciuti da bambine, poi siamo entrate qua dentro e siamo diventate mamme, nonne...".

Nicoletta, ’straniera’ di San Martino, due chilometri più in là della fabbrica ma già nel Ravennate, dice così: "Il mio babbo conferiva i marroni qui quando ancora era una cooperativa. Questa fabbrica ha cambiato tante cose perché un tempo il prezzo lo facevano i commercianti che tante volte pagavano proprio poco mentre l’Ortofrutticola oggi è capace di pagare anche 5 oppure 8 euro un chilo di quello che pè il ’marron buono’".

Portar via da qui la fabbrica dei marroni è come strappare qualcosa dal grembo di queste donne che hanno lo sguardo accorto di chi è cresciuto in montagna e sa a pelle di chi fidarsi e di chi no. E questo Fondo non può che rientrare nella seconda categoria. "Lo vuol vedere cos’ho messo su Facebook?" dice Libera, anche lei in azienda since 1986. Ecco un po’ di cos’ha messo: "Quando ho ricevuto la notizia della possibilità di chiusura dell’Ortofrutticola ho provato rifiuto. Succede quando affrontiamo una perdita... il nostro organismo cerca di difenderci. Per me, che 35 anni ho trascorso nella “mia fabbrica”, per me che ho insegnato tutto quello che potevo a chi è passato tra i miei reparti e sempre per me, che provo orgoglio quando nelle vetrine di pasticcerie vedo esposto il marrone di Marradi, oggi è un giorno di lutto".

E poi, candida: "Quando la proprietà è stata ceduta alla nuova gestione nel 2020, ingenuamente, ho creduto che il passaggio avrebbe portato un miglioramento per tutti, più posti di lavoro... Non conosco i giochi di potere, le speculazioni. Ho spesso una visione molto favolistica delle cose. Ma questa è per tutto il paese un’immane tragedia, oltre che un’ingiustizia immeritata. Ci batteremo con i mezzi che ci sono consentiti per far arrivare, dove deve, la nostra voce e la nostra storia".

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