ESCLUSIVO / Mostro di Firenze, la verità di Giuttari: "Indagate sulla seconda pistola"

Parla il poliziotto che incastrò i compagni di merende

Michele Giuttari nel 1998, quando era il capo della squadra mobile di Firenze

Michele Giuttari nel 1998, quando era il capo della squadra mobile di Firenze

Firenze, 5 dicembre 2018 -  Abbiamo raggiunto  in Germania Michele Giuttari, lo scrittore-poliziotto. Racconta in esclusiva a La Nazione le sue intuizioni investigative, quelle che 17 anni più tardi si confermeranno valide e importanti, ma che lui aveva messo nero su bianco in un’informativa per i magistrati che indagavano sui delitti del Mostro di Firenze. Oggi, per la prima volta, pubblichiamo alcuni stralci di questa corposa nota (260 pagine). «Ho sempre ritenuto, grazie all’esperienza maturata in lunghi anni di indagini, che l’ufficiale di pg debba assumere una posizione propositiva nel suo rapporto col pm. E, anche nelle indagini sui complici di Pietro Pacciani e poi sui possibili mandanti, ho adottato questa linea. Proprio in questa ottica più volte a partire dal 2000 ho ho chiesto anche ufficialmente che fossero disposti accertamenti di natura scientifica in particolare sui bossoli e proiettili repertati nei luoghi dei duplici omicidi».

LE RICHIESTE DEL 2001 - Non a caso al punto M della nota di Giuttari datata 3 dicembre 2001 e inviata a Canessa si legge: «Disporre una consulenza balistica su tutti i reperti attinenti ai duplici omicidi anche allo scopo di verificare l’ipotesi dell’eventuale utilizzo di una seconda pistola sempre di calibro 22 o di altro calibro». Diciassette anni fa Giuttari lo aveva già scritto. «In quasi tutti i sopralluoghi erano stati raccolti bossoli in numero inferiore ai colpi effettivamente esplosi e inoltre dalle varie perizie balistiche eseguite a suo tempo avevo rilevato che gli esami erano stati eseguiti solo su un campione: su due bossoli e un proiettile per ogni delitto. In qualche delitto (quello del 1982) su nessun proiettile perché si erano presentati gravemente danneggiati».

IL FAZZOLETTO DEL MISTERO - «Nel 2004 – continua Giuttari – poi ho chiesto allo stesso pm di voler disporre esami scientifici su un fazzolettino di sangue rinvenuto agli Scopeti dopo qualche giorno dal delitto. Questo rinvenimento mi era apparso particolarmente importante considerato che dalla dinamica esecutiva si era accertato che la vittima francese maschile dal fisico atletico aveva tentato la fuga e, raggiunto dall’assassino, aveva sicuramente resistito. Avevo quindi interrogato le persone che avevano scoperto il fazzolettino. E dalle loro dichiarazioni, insieme al sopralluogo, mi ero ancora di più convinto dell’utilità di quell’elemento».

IL GUANTO NUMERO 7 - Il fazzoletto era stato scoperto in un cespuglio insieme a un paio di guanti da chirurgo di misura piccola, la numero 7, con tutta probabilità riferibile a uno degli assassini. «Dopo mie insistenze – dice il poliziotto – il pm ha disposto l’esame del Dna, di cui non ho saputo l’esito perché il mio rapporto fiduciario col pm si era esaurito. Ho riflettuto molto su questo comportamento per me inspiegabile da parte di un pm con il quale c’era stato sempre un ottimo rapporto di collaborazione e di stima reciproca».

SANGUE DI GRUPPO B - «Ho anche pensato che quel fazzolettino, il cui esame del gruppo sanguigno rilevato all’epoca era di gruppo B, nell’ipotesi del serial killer solitario individuato all’epoca in Pietro Pacciani, avrebbe potuto scagionare l’imputato che aveva altro gruppo (Pacciani era del gruppo A, ndr). Nell’ipotesi però dei nuovi risultati processuali quel Dna poteva essere utile. E sinceramente lo spero avendo appreso dalla stampa che i carabinieri hanno lavorato anche su quel fazzolettino evidentemente ritenuto anche da loro un elemento comunque da chiarire».

IL KILLER DELLA ‘PROSTITUTA GENTILE’ - «Peraltro quel gruppo B aveva richiamato alla mia memoria il delitto di una prostituta, Clelia Cuscito, (un delitto insoluto) uccisa a coltellate a Firenze il 13.12.1983, soprattutto perché mi risultava che da lei andava frequentemente Mario Vanni ‘Torsolo’, che al suo amico che l’accompagnava in auto, Lorenzo Nesi, l’aveva definita la “prostituta gentile”. Nel sopralluogo eseguito all’epoca era stato rinvenuto un ciuffo di capelli con il bulbo che analizzati erano risultati appartenere a persona con gruppo sanguigno B. Questi per chi indaga sono elementi interessanti che meritavano approfondimenti».

IL DISPIACERE DELL’INVESTIGATORE -  «Certo è che questa vicenda dei ‘mostri’ mi ha creato tanti problemi e ha danneggiato la mia carriera segnata da una storia che neanche un capo della polizia poteva vantare. Comunque, se tornassi indietro, mi comporterei sempre nello stesso modo: da fedele servitore dello Stato quale sono stato».

 

«Ho sempre ritenuto, grazie all’esperienza maturata in lunghi anni di indagini, che l’ufficiale di polizia giudiziaria debba assumere una posizione propositiva nella sua relazione professionale con il pubblico ministero titolare delle indagini. E, anche nelle indagini sui complici di Pietro Pacciani e poi su quelle sui possibili mandanti, ho adottato questa linea nel mio rapporto con il pm titolare. Proprio in questa ottica operativa e in fondo anche in un certo senso strategica più volte a partire dal 2000 ho rappresentato non solo verbalmente nei frequenti contatti di lavoro ma anche ufficialmente con apposite note la necessità che fossero disposti accertamenti di natura scientifica in particolare sui bossoli e proiettili repertati nei singoli sopralluoghi dei duplici omicidi».

Non a caso al punto M della nota di Giuttari datata 3 dicembre 2001 inviata a Canessa si legge: «disporre una consulenza balistica su tutti i reperti attinenti ai duplici omicidi anche allo scopo di verificare l’ipotesi dell’eventuale utilizzo di una seconda pistola sempre di calibro 22 o di altro calibro». Diciassette anni fa Giuttari lo aveva già scritto.

«Questo sostanzialmente perché in quasi tutti i sopralluoghi erano stati raccolti bossoli in numero inferiore ai colpi effettivamente esplosi e inoltre dalle varie perizie balistiche eseguite a suo tempo avevo rilevato che gli esami erano stati eseguiti solo su un campione e non già su tutti: su due bossoli e un proiettile per ogni delitto. Per di più in qualche delitto (quello del 1982) su nessun proiettile perché si erano presentati gravemente danneggiati».

Nel 2004 poi ho chiesto allo stesso pm di voler disporre esami scientifici su un fazzolettino di sangue rinvenuto agli Scopeti dopo qualche giorno dal delitto. Questo rinvenimento mi era apparso particolarmente importante per la sua riconducibilità al crimine considerato che dalla dinamica esecutiva si era accertato che la vittima francese maschile dal fisico atletico aveva tentato la fuga e, raggiunto dall’assassino, aveva sicuramente resistito. Avevo quindi interrogato le persone che avevano scoperto il fazzolettino. E dalle loro dichiarazioni, insieme al sopralluogo, mi ero ancora di più convinto dell’utilità di quell’elemento. Si era accertato il suo rinvenimento all’interno di un cespuglio insieme a un paio di guanti da chirurgo di misura piccola, la numero 7, con tutta probabilità riferibile a uno degli assassini che nella colluttazione col giovane francese fosse rimasto ferito. Dopo mie insistenze il pm ha disposto l’esame del Dna, di cui non ho saputo l’esito perché il mio rapporto si era esaurito dopo che il pm, replicando alle mie insistenze – eravamo nel mio ufficio dove era venuto a trovarmi -, mi aveva chiesto se per caso avessi avuto intenzione di indagare su di lui. Ho riflettuto molto su questo comportamento per me inspiegabile da parte di un pm con il quale c’era stato sempre un ottimo rapporto di collaborazione e di stima reciproca. Ed ho anche pensato che quel fazzolettino, il cui esame del gruppo sanguigno rilevato all’epoca era di gruppo B, nell’ipotesi del serial killer solitario individuato all’epoca in Pietro Pacciani, avrebbe potuto scagionare l’imputato che aveva altro gruppo. Nell’ipotesi però dei nuovi risultati processuali (team assassini) quel Dna poteva essere utile. E sinceramente lo spero avendo appreso dalla stampa che i carabinieri hanno lavorato anche su quel fazzolettino evidentemente ritenuto anche da loro un elemento comunque da chiarire. Peraltro quel gruppo B aveva richiamato alla mia memoria il delitto di una prostituta, Clelia Cuscito, (un delitto insoluto) uccisa a coltellate a Firenze il 13.12.1983, soprattutto perché mi risultava che da lei andava frequentemente Mario Vanni ‘Torsolo’, che al suo amico che l’accompagnava in auto, Lorenzo Nesi, l’aveva definita la “prostituta gentile”. Nel sopralluogo eseguito all’epoca era stato rinvenuto un ciuffo di capelli con il bulbo che analizzati erano risultati appartenere a persona con gruppo sanguigno B. Questi per chi indaga sono elementi interessanti chemeritavano approfondimenti. «Certo è che questa vicenda dei “Mostri” mi ha creato tanti problemi e ha danneggiato la mia carriera segnata da una storia che neanche un capo della polizia poteva vantare. Comunque posso affermare che, se tornassi indietro, mi comporterei sempre nello stesso modo: da fedele servitore dello Stato quale sono stato. L’unica cosa che non vorrei però subire sarebbe quella imputazione di abuso d’ufficio contestatemi dal pm Luca Turco per alcune intercettazione autorizzate dal gip.

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