La morte di Magherini, il supertestimone: "Vidi tre calci"

In aula chi ha assistito al tragico arresto. La difesa dei carabinieri

L’avvocato Fabio Anselmo, Andrea Magherini e un’amica (NewPressPhoto)

L’avvocato Fabio Anselmo, Andrea Magherini e un’amica (NewPressPhoto)

Firenze, 8 dicembre 2015 - Il più anziano dei testi è anche il più deciso. Senza tentennare, Massimo Gerini racconta cosa vide dalla finestra della sua camera da letto, la notte del 3 marzo dell’anno scorso: «Magherini è stato immobilizzato a terra e un carabiniere gli ha dato tre pedate molto forti, non calcettini della serie ‘dai smettila’». Gerini va oltre, racconta anche i retroscena della sua testimonianza. E cioè perché non si palesò subito ai familiari che cercavano di ricostruire cos’era accaduto, ma alcuni giorni dopo, alla prima fiaccolata organizzata in memoria del 40enne, ex promessa delle giovanili viola. «Rimasi un po’ così... avevo pensato anche di far delle foto con il telefonino ma pensai: se ora sento suonare il campanello dai carabinieri non so più se mi devo fidare», ha detto al dibattimento di ieri.

Grande spazio all’accusa, con una sfilata di testimoni oculari delle fasi dell’arresto avvenuto in borgo San Frediano. C’era gente in strada, quella sera, oppure affacciata alle finestre, come Angela Conte, che gira due filmati di trenta secondi con lo smartphone e assiste al fermo con il fratello Andrea. Il pubblico ministero Luigi Bocciolini chiama tutti. Sara Cassai, titolare di un’attività poco distante, si soffermò con il suo Doblò; Magherini, alterato – aveva assunto droga – ci salì sopra ma lei gli ordinò di scendere. All’alba successiva, la donna, che aveva assistito al fermo, venne svegliata e convocata urgentemente in caserma, sebbene non avesse intenzione di denunciare alcun danno (il portellone posteriore del suo mezzo era uscito dalla guida a causa dell’irruenza di Magherini).

Non le fu detto che il 40enne era morto, ma che invece c’era un processo per direttissima contro di lui per il furto di un cellulare. Il telefono era di Massimo Di Velo, un giovane pizzaiolo che mentre era chiuso nel locale in cui lavorava, “Borgo La Pizza“, a prepare impasti, vide arrivare Magherini. «Mi disse: devi farmi entrare perché mi vogliono ammazzare. Prese la rincorsa e alla seconda spallata butto giù la porta. Prese il mio Iphone ma non riusciva a utilizzarlo». Sarà un altro pizzaiolo, Ilja Batrakov, un russo cresciuto a Napoli dove ha riferito di aver “assaggiato“ «gli stivali dei carabinieri» a recuperarglielo, facendo la spola tra la pizzeria con la vetrata rotta da Magherini e i carabinieri, che poi, assieme alle altre persone «danneggiate» (compreso il titolare di un’altra pizzeria, Gherardo Pancioli) saranno convocate in caserma poche ore dopo.

La difesa dei volontari della Croce Rossa, rappresentata da Massimiliano Manzo, mette in evidenza che certe deposizioni, come quella di Batrakov, sono assai diverse dalle prime versioni rese agli stessi carabinieri. E poi in caserma ci vanno solo i ’danneggiati’. E non, ad esempio, Matteo Torretti, quello che grida «i calci no». Sarà sentito la prossima udienza, lunedì. Francesco Maresca, legale di alcuni militari, sostiene che i testimoni di ieri «hanno confermato un comportamento dei carabinieri, in fase di approccio, assolutamente corretto. I militari hanno cercato di avere spiegazioni da Magherini, gli hanno detto di calmarsi. Di fronte alla sua reazione, proseguita anche quando era a terra e con il ferimento di un carabiniere, in sostanza i testimoni hanno detto che i militari hanno utilizzato un calcetto per atterrarlo completamente e un altro per calmarlo: sono stati funzionali all’atterramento e al bloccaggio del Magherini».

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