Astori, nuove verità dai documenti. Il capitano doveva essere fermato?

Inchiesta della procura a una svolta. I risultati sull’idoneità sportiva

Davide Astori

Davide Astori

Firenze, 10 dicembre 2018 - I campanelli d’allarme avevano suonato almeno due volte. Gli elettrocardiogrammi effettuati da Davide Astori (morto il 4 marzo 2018 durante il ritiro pre-gara a Udineal centro di Medicina dello sport del policlinico di Careggi, a Firenze, avevano messo in evidenza la presenza di extrasistole ventricolari nel corso delle prove da sforzo cui il calciatore era stato sottoposto nel luglio del 2016 e nello stesso mese dell’anno successivo per ottenere il certificato di idoneità sportiva.

In particolare, nel referto del tracciato del 2017, era stata sottolineata un’extrasistolia a due morfologie, un indizio che la centralina elettrica del cuore del difensore di Fiorentina e Nazionale e, prima, di Roma e Cagliari, non funzionava come avrebbe dovuto.

Il capitano viola doveva essere fermato? Alla domanda risponde la perizia affidata dalla Procura di Firenze a uno dei massimi esperti di morte improvvisa cardiaca, il professor Domenico Corrado dell’Università di Padova, consegnata da oltre un mese al procuratore capo Giuseppe Creazzo. E proprio a questo proposito la procura fiorentina ha aperto un’inchiesta che nei prossimi giorni potrebbe arrivare a una svolta.

Per cancellare dubbi e inquietanti interrogativi bisogna tener conto anche dei protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità sportiva (Cocis). Il trentunenne capitano della Fiorentina, in base a ciò che era emerso nei tracciati effettuati sotto sforzo, avrebbe dovuto essere sottoposto a indagini più accurate per scongiurare la presenza di patologie cardiache potenzialmente pericolose? Come un holter cardiaco e una risonanza magnetica?

Astori soffriva di una patologia subdola che nella notte del 4 marzo scorso ha causato prima una tachicardia e poi una fibrillazione ventricolare che lo ha ucciso nel suo letto d’albergo a Udine, dove la Fiorentina si trovava in ritiro prima del match che avrebbe dovuto disputarsi al Dacia Arena nel pomeriggio di quella maledetta domenica

Soffriva di una forma iniziale di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, come è stato evidenziato nella perizia consegnata alla procura di Udine dai luminari Gaetano Thiene (massimo esperto al mondo di questa patologia: è stato lui a scoprirla nel 1979), professore emerito di Anatomia patologica all’Università di Padova e Carlo Moreschi, patologo, professore dell’Università di Udine.

Questa forma di cardiomiopatia, detta anche displasia aritmogena del ventricolo destro, è una malattia che uccide progressivamente le cellule del miocardio, sostituendole con cellule di grasso e fibrose che possono ostacolare il funzionamento elettrico del cuore, scatenando pericolosi cortocircuiti, potenzialmente mortali. Una patologia estremamente subdola che, nelle fasi iniziali, si manifesta con pochi sintomi e che, successivamente, può trarre in inganno gli specialisti persino in sede autoptica: il cuore apparentemente sembra normale. Ma la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è particolarmente suscettibile ai grandi sforzi: aumenta il rischio di morte improvvisa di 6/7 volte ed è la prima causa di morte improvvisa negli atleti.

Aveva ucciso in campo il calciatore del Livorno Piermario Morosini, e prima, il difensore dell’Asiago Hockey Darcy Robinson, il nazionale spagnolo di calcio, Antonio Puerta (a soli 22 anni) e che ora si scopre essere stata il killer del nuotatore azzurro Mattia Dall’Aglio.

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