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Morì nel cantiere in caserma Era senza casco e imbracatura

Condannata l’impresa. L’incidente nel 2019 nella sede del comando regionale della Guardia di Finanza

Morì nel cantiere in caserma Era senza casco e imbracatura

FIRENZE

Giuseppe Salvato cadde da una scala durante i lavori dentro la caserma “Lido Gori“, di via Valfonda, sede del comando regionale della Guardia di Finanza, a Firenze, e morì, alcune ore dopo in ospedale, per i seri traumi riportati.

Stava lavorando senza l’idonea attrezzatura di protezione, ha stabilito il tribunale di Firenze, che ha condannato i datori di lavoro dell’operaio, la “Esposito Costruzioni Sas“.

Il giudice Gian Maria Faralli, ha inflitto un anno e due mesi a Aniello Conocchia e Fabrizio Fontana, rispettivamente titolare e dirigente dell’impresa specializzata in appalti nelle caserme. Il tribunale ha inoltro disposto in favore dei due figli ventenni dell’operaio, rappresentati dagli avvocati Giuseppe Rando di Roma e Francesca Scarpino e Debora Ciaramitaro di Parma, una provvisionale di trecentomila euro immediatamente esecutiva.

Nel processo, per omicidio colposo, il pm Fedele La Terza contestava loro "negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" per aver "consentito e comunque non impedito l’uso di una scala non idonea per lavori in quota ad una altezza di circa 4 metri, per non avere fornito ai lavoratori idonea attrezzatura di protezione contro il pericolo della caduta dall’alto, e per essersi avvalsi del lavoratore dipendete Salvato Giuseppe nonostante lo stesso non fosse stato sottoposto alla prescritta visita medica".

L’incidente avvenne il 10 settembre del 2019. L’operaio, giunto a Careggi in condizioni disperate, morì il giorno successivo all’incidente. La famiglia autorizzò la donazione degli organi.

Le indagini, affidate alla stessa guardia di finanza, hanno messo in luce che Salvato salì su una scala a libro ad un’altezza di circa quattro metri per praticare un foro nel muro. Poi, secondo quanto ricostruito, scese da quella scala e salì su un’altra, dalla parte opposta del muro, per verificare su il foro (da dove avrebbero dovuto poi passare delle condutture elettriche) fosse venuto bene.

Nessuno vide la caduta in diretta. Un collega, che si era assentato in quel momento, udì un forte tonfo.

Dal procedimento è emerso che per salire a quell’altezza, avrebbe dovuto esserci non una scala, bensì un trabattello.

Inoltre, per effettuare un lavoro “in quota“ avrebbe dovuto essere dotato dei necessari dispositivi di sicurezza. Secondo il “Pos“, il piano operativo sicurezza, l’operaio avrebbe dovuto indossare scarpe antinfortunio, l’elmetto di protezione alla testa e l’imbracatura anticaduta.

Aveva addosso soltanto le calzature protettive.

stefano brogioni