Maxirissa al carcere di Sollicciano. I detenuti tentano di dare fuoco alle celle

Botte fra una trentina di nigeriani e albanesi: tre agenti sono rimasti feriti

Maxirissa al carcere di Sollicciano. I detenuti tentano di dare fuoco alle celle

Maxirissa al carcere di Sollicciano. I detenuti tentano di dare fuoco alle celle

Violenti disordini all’interno del carcere di Sollicciano. Due agenti penitenziari sono rimasti feriti: attorno alle 18 è scoppiata una rissa fra una trentina di detenuti albanesi e nigeriani, cui è seguito un incendio nella settima sezione. Alcuni di loro hanno infatti appiccato il fuoco alle coperte e ai materassi. Altri reclusi, approfittando dei disordini, hanno anche cercato di forzare il cancello dell’atrio e rotto il plexiglass di protezione, secondo quanto riferisce Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp-Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria.

I poliziotti sono poi riusciti faticosamente a ripristinare l’ordine e la sicurezza e a chiudere le celle della settima sezione, aiutati anche da colleghi arrivati da altri istituti di pena. "La situazione del carcere fiorentino, non nuova a simili episodi nell’ultimo periodo, permane esplosiva" denuncia il sindacalista, "soprattutto nella perdurante assenza di interventi risolutivi da parte delle autorità penitenziarie regionali e centrali". E’ stato anche dato l’allarme al 118, con tre agenti penitenziari rimasti feriti: sono in buone condizioni e non corrono pericolo di vita.

A Sollicciano i detenuti, o almeno una parte di essi, vivono ancora in condizioni "disumane e degradanti". Così aveva stabilito nei giorni scorsi il magistrato di sorveglianza, che doveva esprimersi su un ricorso di un 58enne, in carcere per omicidio: l’uomo aveva ottenuto uno sconto di pena di 312 giorni (per legge se ne può avere uno ogni dieci passati in condizioni "disumane") e una somma in euro come ristoro economico.

Nel provvedimento del magistrato di sorveglianza si parlava, tra le altre cose, di "importanti problematiche igienico-manutentive", oltre ad "evidenti tracce di infiltrazioni" e presenza di insetti e cimici. I trattamenti inumani e degradanti sono vietati dall’articolo 3 della Cedu, la Convenzione europea per i diritti dell’uomo, la cui corte ha condannato la prima volta l’Italia per questo motivo nel 2013, nella famosa "sentenza Torrigiani".