ALESSANDRO PISTOLESI
Cronaca

"Mio figlio morì a Kabul. E oggi c’è lo stesso dolore"

Parla Anna D’ Amato, madre di Massimiliano Randino, il parà di Sesto Fiorentino ucciso nel 2009. "Enorme tristezza. Vent’anni di missione e 53 scomparsi sono stati inutili"

Massimiliano Randino, il parà di Sesto Fiorentino ucciso nel 2009 a Kabul

Firenze, 19 agosto 2021 - Sono passati dodici anni ma in fondo il tempo è irrilevante. Perché il dolore di una tragedia non si cancella, semmai si attenua. E in certi periodi la tristezza pervade, il vuoto non si colma con niente. Ecco, per Anna D’Amato sono giorni così. "È molto stanca, non si sente tanto bene. I giornalisti continuano a chiamare...", dice chi condivide con lei quel dolore enorme. Era il 17 settembre del 2009 quando suo figlio, il caporal maggiore Massimiliano Randino, fu ucciso nell’inferno di Kabul, vittima insieme ad altri cinque paracadutisti italiani di un’autobomba suicida lanciata contro due blindati Lince.

Massimiliano aveva 32 anni, era originario del Salernitano e viveva a Sesto Fiorentino con la moglie Pasqualina dopo essere stato assegnato qualche mese prima al Nembo di Pistoia. "Proprio il 16 di agosto avrebbe compiuto 44 anni, il mio Massimiliano... E invece non c’è più", dice mamma Anna, 70 anni, travolta negli ultimi giorni dalle notizie strazianti che arrivano dall’Afghanistan. Quali sensazioni prova nel vedere le immagini della presa di Kabul? "Una domanda tosta. Provo tristezza, tanta tristezza. È orrendo sapere che la guerra è ancora in atto, che i talebani hanno preso il potere. Significa che in tutti questi anni non è cambiato niente". Cosa le fa più male? "Che 20 anni di missioni umanitarie alla fine non abbiano portato ai risultati sperati. Che le morti di 53 militari non siano servite ad evitare altro profondo dolore che forse oggi si sarebbe potuto evitare. Adesso più che la rabbia resta soprattutto la disperazione delle famiglie e delle madri che non tengono più i loro figli". Cosa ricorda di quel tragico 17 settembre del 2009? "Un dramma, all’improvviso. Stavo tornando a casa dal supermercato, quando mi hanno detto qualcosa. Non ricordo esattamente le parole, ma solo che da lì in poi non ho capito più niente. All’inizio non era certo che fosse davvero lui, in casa era piombato il silenzio più assoluto. Poi è arrivata la conferma. Da quel momento mi è caduto il mondo addosso". Suo figlio che cosa direbbe oggi della presa di Kabul? "Sarebbe dispiaciuto, deluso e affranto, perché l’Italia ha fatto tanto in questi anni, impegnandosi con le missioni di pace, nel portare gli aiuti umanitari a chi stava soffrendo. Le guerre, le violazioni dei diritti e le morti sono sempre una sconfitta, a maggior ragione se si ripetono nel tempo". Quali erano i suoi racconti dell’Afghanistan? "Mi raccontava degli aiuti che portava a chi era in difficoltà. Aveva sempre qualcosa da dare ai bambini per regalare loro un sorriso. Massimiliano era un bravissimo ragazzo. Si faceva volere bene da tutti. Anche in Afghanistan". Si sente supportata dalle istituzioni? "Il supporto devo dire che non manca, però forse bisognerebbe fare qualcosa di più per commemorare tutti i militari che hanno perso la vita. Almeno una volta l’anno. Basterebbe anche l’accensione di un cero. A volte ho la sensazione che non si faccia abbastanza per ricordare questi eroi".