CARLO CASINI
Cronaca

"Macché gossippare. Un tempo erano ciane. Con le ragazze si filava. Ciao bro? No, bona ugo"

Paolo Pranzini, 82 anni, cresciuto al Pignone racconta il gergo dei suoi tempi "Si diceva ’allampanato’, ’a bachero’ o ’tresca’. Oggi chi parla più così?".

"Macché gossippare. Un tempo erano ciane. Con le ragazze si filava. Ciao bro? No, bona ugo"

Paolo Pranzini, 82 anni, ex dirigente oggi impegnato nel mondo del volontariato. È nato e cresciuto al Pignone

Firenze, 16 settembre 2024 – "Anche una volta c’erano parole d’uso comune, che facevano sentire i partecipanti appartenenti a un gruppo. Alcune di queste espressioni si sono perse, altre hanno assunto un connotato diverso o sono diventate desuete". Racconta così Paolo Pranzini, ex dirigente in pensione e impegnato in progetti di volontariato per la comunicazione tra nuove e vecchie generazioni di cittadini.

A 82 anni è un giovane fiorentino d’Anteguerra nato e cresciuto nel rione popolare del Pignone. Non c’erano gli smartphone, i divertimenti dei ragazzetti, racconta Paolo, erano "il gioco del ‘Ciribè’ (consisteva colpire un bastone con un altro al fine di farlo volare più lontano dello sfidante) oppure la discesa del Monte Oliveto con i carretti. Quando si giocava con le palline di terracotta e finiva fuori gioco, per esempio si diceva ‘è finita a Ricorboli’ che si diceva anche quando si andava molto lontano dal discorso". Il rione di Ricorboli infatti, ora attaccato al centro, era ai tempi periferia. "Analogamente, si diceva ‘è finita alle Ballodole’, la vallata sulle colline di Careggi dove un tempo, prima di Trespiano, c’era il cimitero".

Altre espressioni della GenZ avevano un loro corrispettivo in fiorentino: ‘bannare’ per Paolo si diceva semplicemente ‘l’è stato fatto fòri’; ‘skinny’ era ‘allampanato’; ‘triggerare’ ‘fare il Cecco toccami’; ‘chillato’ era ‘a bachero’ e se si doveva ‘dissare’ , si andava dall’avversario: "O te, che vo’ fare?".

Ci sono pure delle offese che ora vengono usate poco e per giunta se ne è perso il senso

E poi ci sono tutti i termini amorosi: "Quando ero ragazzo io si usava ‘fare flanella’". Il primo step era ’fare il filo’, ovvero stare dietro a uno/a per conquistarlo/a. Se riusciva nell’intento si poteva "stare insieme, in segreto e quella era ‘una tresca’. Poi se la cosa si evolveva, l’innamorato andava a dichiararsi dal babbo della ragazza e a quel punto la cosa diventava ufficiale: ‘fidanzati in casa’".

Neanche a dirlo, chi aveva più chance era il più bello, ovvero ‘il fico’; e poi anche l’abito faceva il monaco: dalle ragazze bisognava andare imbrillantinati, non certo "inzillaccherati" (sporchi di fango…pardon, "mota", in ispecie sulle scarpe). Ma a volte il babbo veniva a saperlo prima perché al Pignone le voci correvano veloce… "c’era di già il gossip, ma si chiamava ‘cianare’". Ma alcune ragazze erano brave a mantenere la privacy: "si diceva ‘madonnine’ o ‘acque chete’". Al contrario c’era chi i segreti non li sapeva proprio tenere e si diceva "un regge nemmeno i’ semolino".

Anche la scuola aveva le proprie locuzioni: "La ‘forca’, quando si saltava lezione". E così si stava tutta la mattina "a strasciconi", però bisognava stare attenti a non "segare" (essere bocciati)". Come ci si salutava? "Il classico era ‘bona Ugo. Ma "ora l’è i’ tocco, vo a desinare, bona!", taglia corto Paolo.