Urla dal silenzio sui morti per l'uranio

Risponde l'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 26 aprile 2015 - Caro Mancini può spiegarmi che cosa è l’uranio impoverito e perché ci sono misteri sulla morte di tanti militari italiani che hanno partecipato alle missioni all’estero?

Gianluca B. , Grosseto

Le morti provocate dall’uranio impoverito sono catalogabili fra i misteri italiani (dimenticati) al pari della strage di Ustica. Probabilmente perché le ammissioni – ma qui la prevalenza ce l’hanno le omissioni – comporterebbero responsabilità eccellenti e soprattutto risarcimenti per i familiari di chi non c’è più (oltre 300 le vittime) e per chi si è ammalato (almeno 3.500 militari). Le colpe starebbero nell’aver taciuto i pericoli e nel non aver preso precauzioni per difendere i nostri militari dalle polveri sprigionate nell’esplosione di ordigni all’uranio utilizzati nella guerra del Balcani. Eppure, nonostante i silenzi di Stato, ci sono sentenze emesse da Tar, Tribunali civili, Corte dei conti – che raggiungono ormai il ragguardevole numero di 36 – a condannare l’Amministrazione militare. E c’è un maresciallo che si chiama Domenico Leggiero, coordinatore dell’Osservatorio militare, che conduce da anni una battaglia alla ricerca della verità, prima, e per un giusto risarcimento ora.

Quattordici anni fa è stato proprio il caso di un militare morto a Firenze, a far conoscere nel mondo la pericolosità dell’uranio impoverito. Oggi l’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto che le radiazioni contenute nelle polveri possono provocare un tumore, il linfoma di Hodgkin. L’ultima faticosa sentenza risale a un paio di settimane fa: la Corte dei conti ha confermato il diritto alla pensione, per la vedova di un parà di Orbetello, morto al ritorno dalla missione italiana in Somalia nel 1992. Il ministero della Difesa si è sempre opposto, perché non ha riconosciuto il collegamento fra l’attività militare e la malattia. Siccome le sentenze sembrano andare quasi tutte nella stessa direzione di condanna, sarebbe arrivato il momento di uniformare le valutazioni e che anche l’Amministrazione militare riconoscesse, una volta per tutte, gli errori commessi, facendo risparmiare tempo (ai tribunali), soldi (allo Stato) e un supplemento di dolore (ai familiari dei morti).

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