
Nessuna aggravante, né quella per per futili motivi né quella della crudeltà, può essere riconosciuta. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui la Corte d’assise d’appello di Roma conferma la condanna a 23 anni di carcere per Rassoul Bissoultanov per la morte di Niccolò Ciatti. La Corte, presieduta da Vincenzo Gaetano Capozza (lo stesso del processo d’appello ai fratelli Bianchi per l’omicidio di Willy) scrive che, in merito all’aggravante per futili motivi, non è stato possibile individuare la causa del diverbio tra il giovane fiorentino e il ceceno: prima della rissa "non c’erano stati contatti tra i due gruppi –si legge –; è ben possibile quindi che il contrasto sia avvenuto per un urto involontario o per un’incomprensione fra i due". Pertanto, secondo la Corte, non ci sono abbastanza elementi di prova per identificare il movente che fece scattare la furia cieca di Rassoul Bissoultanov (tutt’ora latitante), che picchiò e uccise il 22enne di Scandicci nella notte tra l’11 e il 12 agosto 2017 fuori a una discoteca di Lloret de Mar in Spagna.
Esclusa anche l’aggravante della crudeltà, in quanto Bissoultanov "non eccede dai limiti della normalità rispetto all’evento omicidiario previsto e voluto" e non trascende "in una manifestazione di efferatezza".
Decisione che ha lasciato amarezza in Luigi Ciatti, il padre di Niccolò. "Persa l’ennesima occasione per rendere giustizia a mio figlio", spiega l’uomo. "Noi abbiamo fatto il massimo – continua –, ma non riconoscere le due aggravanti non è un buon segnale per un ragazzo ucciso in quel modo".
Il ceceno venne arrestato il 12 agosto 2017 in Spagna e poi dopo 3 anni e 10 mesi rimesso in libertà. Dopo essere stato scarcerato il ceceno lasciò Girona e venne in seguito arrestato in Germania su mandato di cattura internazionale e in seguito estradato in Italia. Nel dicembre 2021 però la Corte d’Assise di Roma lo ha rimesso in libertà, con un provvedimento poi annullato dalla Cassazione. Tornato in Spagna, la scorsa estate, Bissoultanov ha fatto perdere le sue tracce ed è ancora latitante. "Mio figlio non c’è più, mentre Bissoultanov è un uomo libero, e chissà se verrà mai trovato – aggiunge il padre –. Non riuscirò mai a perdonarlo per quello che ci ha fatto, deve pagare, scontando la sua pena in carcere".
Per il ceceno il sostituto procuratore generale Debora Landolfi e il pm Erminio Amelio nella loro requisitoria chiesero la condanna all’ergastolo. Mentre, si legge nella sentenza, non è stata riconosciuta l’attenuante della provocazione, in quanto negli atti non è emerso nessun fatto condotto da Ciatti che avrebbe potuto scatenare quella che è stata definita "incongrua violenza" di Bissoultanov.
"Vorremmo fare un appello internazionale, affinché chiunque veda Bissoultanov avverta le autorità. Ogni dettaglio può essere utile", conclude il padre
P.M.