VichiDal mese prossimo per lei comincia una nuova vita" aveva detto. E lui aveva pensato: Non vedrò più Maria. Maria gli piaceva. Non poco, molto. A un certo punto aveva cominciato a pensare di essersi innamorato, e si era sentito in colpa verso sua moglie. Ma era inutile farsi il sangue amaro. Per Maria sentiva quello che sentiva, non poteva farci nulla. Un giorno si era fatto coraggio e gliel’aveva detto. "Signorina Maria, penso di essermi innamorato di lei". "Non si preoccupi, nella sua situazione può succedere" aveva detto lei con un sorriso da infermiera, e se n’era andata. Lui non le aveva detto più niente. Era arrivato a una ventina di metri dal grande viale pieno di macchine. Sotto quei lampioni altissimi con la luce gialla le macchine sembravano tutte grigie. Non le aveva mai viste in quel modo, le macchine. Passavano veloci come topi. A un tratto pensò a se stesso prima dell’incidente, e gli sembrò di guardare da lontano la vita di un altro. Ripassò a mente una sua giornata di allora, se la fece scorrere in mente come un documentario… la sveglia alle sette, la barba, la colazione col caffè che sapeva di bruciato, il bacio stanco a sua moglie, la prima sigaretta, la macchina, i semafori, le code, l’ufficio con i colleghi, i pettegolezzi, le invidie… all’improvviso capì che quel lavoro nell’amministrazione comunale non gli aveva mai dato nessuna soddisfazione, a parte il cinque del mese quando gli consegnavano la busta paga. Lo sentì come avrebbe sentito un calcio nello stomaco. E le cenette davanti alla partita erano sempre state rovinate da quella rompicoglioni di sua moglie, che non lo lasciava in pace nemmeno quando c’era un rigore. E suo cognato, carabiniere in pensione, era uno che capiva poco di tutto ma voleva sempre dire la sua, alzava la voce e blaterava contro i negri e i comunisti. E dalle vacanze al mare tornava sempre con un malessere che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere… Preso dai ricordi, senza rendersene conto era arrivato alla sua meta.
Si fermò sull’immenso marciapiede del viale, appoggiandosi bene alle stampelle. Alzò gli occhi. Venti metri sopra di lui, la luce gialla del lampione brillava dietro un velo leggero di nebbia. L’aria era più calda per via delle macchine, ma era irrespirabile. Aveva sbagliato tutto, ora lo vedeva con chiarezza. La sua vita era stata un errore dietro l’altro. Se n’era accorto troppo tardi. Avrebbe dovuto fare l’archeologo, andare in giro per il mondo a scavare buche per cercare ossicini fossili e cocci. O magari avrebbe potuto essere un medico che accorreva nelle zone di guerra, per curare feriti e bambini. Gli sarebbe piaciuto aver fatto qualcosa di grande, che lasciasse un segno, e invece non era nemmeno riuscito a fare un figlio. Era affondato lentamente in quella vita noiosa, ci si era abituato come a un brutto quadro appeso nell’ingresso. Si voltò verso sinistra. In mezzo a quella nebbiolina le luci del centro commerciale erano quasi belle. Lo conosceva bene, quel mostro luminoso. Fino a un anno prima ci andava a fare la spesa tutti i sabati pomeriggio. Ci andava sempre da solo. Preferiva così. Spingeva il carrello e guardava le donne che gli passavano accanto. A ognuna dedicava un pensiero. Era uno dei suoi angoli segreti, un’avventura a cui non avrebbe potuto rinunciare. Il sabato era il giorno dei sogni.
L’incidente era successo proprio un sabato, mentre tornava dal centro commerciale con la macchina carica di sacchetti. Le ventate tiepide delle macchine in corsa gli arrivavano in faccia e gli alzavano i capelli sulla testa. Guardò il marciapiede di fronte, e gli sembrò lontanissimo. Sarebbe davvero riuscito ad arrivarci, un giorno? La strada che portava alla guarigione era lunga e faticosa. Doveva metterci tutta la sua volontà, se lo diceva di continuo. Ma in fondo a quella strada cosa avrebbe trovato? Qual era lo scopo di tutta quella fatica? Davvero la sua vita sarebbe cambiata? O sarebbe stato tutto come prima? La sveglia alle sette, la barba, la colazione col caffè bruciato, la prima sigaretta, i colleghi… la stessa identica vita di prima, per sempre… Scosse il capo. Trovarsi dentro a quella vita senza rendersene conto poteva capirlo, ma vederla in faccia e scegliere di continuare a viverla… Ma in fondo quali speranze aveva di poterla davvero cambiare? A 59 anni? E in che modo? Che senso aveva?
Accanirsi a camminare e camminare ogni giorno con quelle stampelle a treppiede, mesi e mesi su e giù nella strada davanti a casa per guarire in fretta e tornare a fare le stesse cose di prima, quelle cose che ora non gli piacevano più, che forse non gli erano mai piaciute, stare in un ufficio polveroso con gente stupida a fare un lavoro inutile, il sabato spingere un carrello guardando le donne degli altri e tornare a casa da una donna che non amava più da vent’anni… ormai la sua vita era quella, non aveva la possibilità di cambiare più nulla. Non avrebbe nemmeno saputo da che parte cominciare… e se anche ci avesse provato non sarebbe servito a niente. Di lontano vide i fari di un camion, un grosso TIR con le lucine rosse tutte intorno alla cabina. In mezzo a quelle macchine grigie sembrava una muraglia prodigiosa, un idolo fra i pigmei. Per un attimo pensò di buttarsi sotto quelle ruote e di farla finita… Aspettò che il camion fosse molto vicino… Immaginò il rumore, le urla, il buio… Poi vide il viso Maria che gli sorrideva, scoppiò a piangere e si fermò. Doveva vivere per lei. Ne valeva la pena, comunque fosse andata.
3-fine