
Giovanni Colacicchi, pittore italiano. Ha passato la sua vita tra Roma e Firenze, collaborò con La Nazione
Rigore d’osservazione e gusto del colore caratterizzano l’opera dell’artista veronese chiamato a Firenze da Francesco I dei Medici per suggerimento di Bianca Cappello. Echi degli acquerelli e delle incisioni del Durer.
Non abbiamo mai creduto a una netta liena di confine nella mostra dei disegni di Jacone fra l’arte e la scienza; abbiamo sempre notato che quasi mai è possibile distinguere il momento in cui l’uomo agisce come artista dal momento in cui agisce come scienziato. Forse è vero che quei momenti sono intrecciati in modo inestricabile, e che solo la qualità propria di ciascun individuo conferisce all’opera sua quelle caratteristiche che all’os- servazione degli altri uomini appaiono artistiche o scientifiche, a seconda che sensibile all’arte o sensibile alla scienza sia l’individuo che s’avvicina all’opera prodotta. Un piacere che pure essendo soprattutto artistico, per noi che non siamo scienziati era anche tutto permeato di un altro godimento: quello di chi riceve da altri notizie e nozioni che mai egli avrebbe potuto conseguire con lo sforzo della propria mente, riceve cioè un inse- gnamento. In questo caso ci è stato dato con una chiarezza, con una grazia con un’arte particolarissima che siamo sicuri non potranno non costituire un gran godimento anche per coloro che a quei disegni si accosteran- no con una mente più che altro scientifica. Non vogliamo ora importunare le grandi ombre di Leonardo o di Galilei (anche un brano di prosa rigorosamente scientifica può avere nelle sue cadenze, nel suo ritmo, nella chiarezza potranno capire lo slancio della sua esposizione. Un pittore, il Ligozzi, da dire decisamente controriformista pieno di stucchevole unzione nei dipinti di carattere religioso e di esteriore cortigiana pompa in quelli celebrativi. Ma chi conosce questi dipinti (a qualcuno saranno rimasti nella memoria quelli non molto in vista veramente del salone dei Cinquecento) se li dimenticherà del tutto non senza aver fatto un piccolo sforzo per credere che le tempere di cui ora parliamo sono di quella stessa mano.
Si tratta infatti, per questa mostra degli Uffizi, di una collezione di deliziosi fogli in cui sono disegnati e coloriti, con estrema cura e con estrema delicatezza. animali e piante più o meno rari, più o meno curiosi, che il Ligozzi eseguiva con l’attenzione propria dello scienziato che vuol capire come è fatta una cosa, e al tempo stesso con lo slancio, con l’amore e con l’eleganza di chi una volta che l’abbia capito vuole incantare gli altri raccontandoglielo; e allora cerca e trova gli accenti più persuasivi: i colori più teneri per i più teneri fiori, quelli riluttanti per viscidi rettili quelli più terrosi umidi e bruni per certi rizomi che sembrano or ora strappati dall’oscurità feconda del terreno: darà gli azzurri e i rossi più sgargianti alle più vivaci penne d’uccello. Per la storia occorrerà dire che questi disegni sono stati fatti dal Ligozzi per ordine di Francesco I granduca di Toscana, il quale, a sua volta, aderiva al suggerimento di Ulisse Aldovrandi, naturalista bolognese vissuto dal 1522 al 1605, il qua le, inviando al granduca de- gli esemplari rari di piante e di animali lo esortava "a farne far pittura dal suo eccellente pittore", vale a dire il Ligozzi. Interesserà sapere, specialmente ai fiorentini che Francesco I è stato quasi il creatore di quel bel giardino che si chiama "dei Semplici" posto fra via Lamarmora e vía Gino Capponi. Dell’Aldovrandi rimane specialmente fra gli scienziati una solida fama, per essere stato citato con ammirazione dal Buffon e per essere stato, in virtù del suo proprio sistema di osservazione e classificazione pa- ragonato al grande naturalista Limneo. Ligozzi, nato a Verona nel 1547, venne a Firenze che aveva circa trent’anni probabilmente con l’aiuto della veneziana Bianca Cappello, futura granduchessa di Toscana, molto sollecita del successo dei suoi compatrioti: egli s’era formato nel- l’ambiente veronese e aveva forse avuto modo di ricevere direttamente e indirettamente l’influenza del Durer di certo attraverso le incisioni e i disegni.