
Misericordia di Sesto (foto d’archivio)
di Stefano BrogioniFIRENZELa Tares dei poliambulatori della Misericordia di Sesto Fiorentino come deve essere tassata? Come quella degli studi professionali o con il regime, più favorevole, riservato alle associazioni? Negli anni, tra la Confraternita e l’amministrazione comunale sestese si è innescato un vero e proprio braccio di ferro, giunto fino alla Cassazione.
Nei giorni scorsi, i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso del Comune di Sesto Fiorentino e, con un’ordinanza della Quinta sezione civile, hanno rispedito la contesa alla corte di giustizia tributaria di secondo grado. Che dovrà a questo punto quantificare l’ammontare del tributo optando per il criterio meno favorevole alla Confraternita, nonostante lo spirito che anima la sua attività. La commissione territoriale aveva aderito alle ragioni della Misericordia, cassando il codice “afflittivo“ attribuito alla struttura dal Comune, cioè quello degli studi professionali.
Secondo la commissione, l’attività del Polimabulatorio (esercitata in locali messi a disposizione in comodato gratuito dalla Confraternita della Misericordia) aveva "quelle stesse caratteristiche di solidarietà che connotavano l’attività ivi svolta precedentemente, come dimostravano le tariffe calmierate praticate all’utenza ed il reinvestimento degli utili". Quindi l’inquadramento nella categoria “associazioni“ "in quanto settore più affine rispetto agli studi professionali".
Una conclusione che, nel suo ricorso, l’amministrazione comunale sestese ha contestato. Il calcolo del tributo, sostiene il Municipio, si determina infatti in base all’attività prestata. Per il Comune, il Poliambulatorio va inserito nella categoria “studi professionali“ in quanto "dalla visura camerale corrispondeva il codice Ateco degli studi medici specialistici". "Assume essere pacifico tra le parti - insiste l’amministrazione di Sesto - che il Poliambulatorio metta a disposizione di medici professionisti, per lo più operanti presso gli ospedali di Firenze, i propri ambulatori e che ai pazienti sia rilasciata regolare fattura".
La Cassazione, sottolineando le dimensioni della struttura, che ospita circa 65 medici che ogni giorno ricevono decine di pazienti, ha quindi sposato il principio del ’chi inquina paga’. "Ciò che conta, infatti, è la tipologia dell’attività svolta nei locali assoggettati a tributo - scrivono i giudici della Quinta sezione - in quanto ad essa è commisurata dalla legge l’idoneità astratta alla produzione di rifiuti, e non la forma giuridica assunta dal soggetto che quell’attività svolge, né la finalità per cui essa è svolta".
"Appare allora evidente - conclude la Suprema Corte - l’errore commesso dalla Commissione Territoriale regionale, che si si sofferma solo sulla ridotta economicità delle prestazioni rese dal Poliambulatorio della Misericordia, manifestata dall’applicazione di tariffe calmierate, che assimilerebbe la sua attività a quelle connotate da scopo solidaristico, senza, tuttavia, tenerne in considerazione la tipologia in rapporto alla produttività di rifiuti".