E così, dopo la farina di grilli, a inquietare i nostri dopocena è arrivata ora la carne sintetica. Credo non ci sia fiorentino che non abbia fatto un sobbalzo all’idea di mangiare carne creata con cellule staminali di bovino coltivate in un bioreattore. E sono convinto che d’acchito, al grido di "io mangio la porchetta, te mangiati la provetta", in molti abbiano applaudito l’idea del governo di vietarne la produzione e la commercializzazione in Italia, anche se nessuno per la verità in Europa ha ancora proposto una roba del genere.
Un sentimento nobile per chi, come chi scrive, ritiene la "bistecca" patrimonio gastronomico dell’umanità, ma forse sbagliato. Non solo perché, come qualche burlone potrebbe ipotizzare, vietando la carne sintetica si metterebbe a rischio la gran parte dei programmi Mediaset del pomeriggio, ma perché si rischierebbe di ripetere quanto fatto con un signore che abitava dalle parti di Arcetri 400 anni fa: fermare la scienza per paura del cambiamento. La carne sintetica, che più correttamente per come viene prodotta dovremmo chiamare "carne coltivata", al di là della suggestione negativa che naturalmente proviamo, potrebbe infatti portare benefici non da poco per l’umanità, sia dal punto di vista etico (come quello di ridurre la sofferenza animale), sia dal punto di vista ambientale, se pensiamo alle emissioni e all’uso di suolo e acqua dei quali certi allevamenti intensivi oggi necessitano.
E noi fiorentini, proprio per rispetto a Galilei, forse non dovremmo invocarne l’eresia ma fare altro. Forse dovremmo semplicemente non ostacolare il progresso ma sostenere il meglio del nostro presente perché anche esso abbia un futuro. E dunque da una parte finanziare i nostri centri di ricerca sulle fonti di proteine alternative per non restare indietro rispetto al mondo, lasciando l’Italia ancora terra di conquista per aziende di altri Paesi. Dall’altra, tutelare i nostri allevamenti e sostenerli nella modernizzazione. Che la sfida con il futuro, la si chiami "carne sintetica" o altro, la si vince su altri parametri, la qualità, la genuinità, la tradizione, non con la retorica o con divieti anacronistici da luddisti fuori corso che non possono reggere alla sfida del tempo.