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"Io, infermiere anti virus: ho ancora quei malati negli occhi"

Salvatore Sequino, due mesi in prima linea a Torregalli: "La mia forza è stata la famiglia, penso sempre a un giovane che no n ce l’ha fatta"

Salvatore Sequinocoordinatore del sindacato autonomo degli infermieri Nursind Toscana Cent

Firenze, 12 maggio 2020 -  «Ci definiscono eroi. Ma sono solo un infermiere che ha dato ai pazienti la propria professionalità". Negli ultimi due mesi, la chirurgia d’urgenza del San Giovanni di Dio dove lavora Salvatore Sequino è diventata un reparto Covid. Ieri è stato l’ultimo giorno.  

Come sono stati questi due mesi? "Intensi. Qualche collega si è dovuto tirare indietro. Dopo essermi consultato con mia moglie, anche lei infermiera, ho accettato, con tutte le cautele per difendere i miei tre figli. Mia figlia di 16 anni è stata una grande alleata nella gestione di tutto e ce l’abbiamo fatta".  

Cosa è cambiato dalla chirurgia al reparto Covid? "L’approccio col paziente: si basa sull’espressività, sul sorriso, su una carezza. Dover indossare mascherina, visiera, guanti, essere riconoscibili solo dal nome scritto sulla tuta, ci rende dei fantasmi agli occhi dei pazienti".  

È stato difficile? "Abbastanza. Conoscevamo le pandemie dai libri, pensando non le avremmo mai dovute affrontare".  

Riesce a non farsi coinvolgere? "E’ il motivo per cui molti non finiscono gli studi: bisogna essere empatici senza trascendere nel personale, senza che il lavoro entri nella sfera privata".  

C’è riuscito anche contro il Covid? "Non è stato facile: mancava la libertà di fare una corsa o giocare coi propri figli che permette di scaricare quanto accumulato in corsia. Prima di dormire, ripercorrevi la giornata, temendo di aver sbagliato qualcosa. Da noi è andata bene: si è ammalato solo un collega su 60".  

Quale sarà il ricordo che porterà con sé? "Un paziente giovane con cui si era instaurato un rapporto stretto. Purtroppo non ce l’ha fatta".  

Lei ha anche un ruolo nel sindacato Nursind... "Ho rinunciato ai benefici da sindacalista per tornare in reparto a tempo pieno. Quando non ero in servizio, stavo al telefono coi colleghi: c’era molta preoccupazione per l’iniziale carenza di dispositivi di protezione. Ora contiamo di tornare alla normalità". Come l’ha cambiata questa esperienza? "Ho ancor più la percezione che la vita ha un termine e va affrontata al massimo. Apprezzerò di più il tempo con la mia famiglia".  

Manuela Plastina © RIPRODUZIONE RISERVATA