di Claudio Capanni
Anche i beni culturali hanno un diritto di immagine. Violarlo significa toccare la carne viva dell’identità collettiva di ogni italiano: quella memoria comune scolpita nel patrimonio artistico nazionale. E farlo può costare caro. Come successo alla società Edizioni Condé Nast, costola italiana della celebre casa editrice statunitense, condannata dal giudice Massimo Donnarumma della seconda sezione civile del tribunale di Firenze a pagare 50mila euro al ministero della Cultura, a titolo di risarcimento.
Il motivo? Aver pubblicato sulla copertina della rivista GQ Italia, nel numero di luglio-agosto 2020, l’effige del David di Michelangelo, modificata però grazie alla tecnica della cartotecnica lenticolare. Il risultato: osservando a una certa inclinazione la rivista, l’immagine restituita era il David. Inclinando un poco lo sguardo, invece, grazie all’effetto ’morphing’ l’immagine si trasformava in quella di un modello sovrapposto al capolavoro del Buonarroti, nella stessa posa. Una veste grafica brillante che però, nel 2020 ha dato il via a una causa civile incardinata al tribunale di Firenze promossa per conto della Galleria dell’Accademia.
Da una parte l’avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze in rappresentanza della Galleria, museo nazionale che custodisce il David. Dall’altra la società editoriale nel ruolo di convenuta. Al centro una richiesta di risarcimento danni da 80mila euro alla società per aver pubblicato l’immagine non autorizzata. La casa editrice, in un carteggio mail, aveva effettivamente chiesto il via libera al progetto grafico per la copertina che era stato poi preventivamente inviato. La direzione della Galleria aveva acconsentito che il David uscisse in copertina, ma a un patto: senza alterazioni, bocciando il progetto di ’morphing’. Poi il carteggio si era interrotto fino all’uscita della rivista. Ma la tecnica lenticolare per il giudice ha "insidiosamente e maliziosamente accostato l’immagine del David a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando umiliando l’alto valore simbolico e identitario dell’opera d’arte e asservendo la stessa a finalità pubblicitarie".
A rendere la sentenza unica però è stata la tesi avanzata dall’Avvocatura e sposata dal giudice che, per la prima volta in una sentenza di merito, afferma l’esistenza del diritto all’immagine dei beni culturali come espressione del diritto costituzionale "all’identità collettiva dei cittadini – si legge in sentenza – che si riconoscono nella medesima nazione". Il tribunale di Firenze in pratica afferma che l’immagine dei beni culturali è espressione dell’identità culturale degli italiani e della loro memoria storica, un bene da tutelare ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione. Quindi? Maneggiare l’immagine del David, o di altri capolavori artistici e alterarla, per il giudice significa violare o distorcere l’identità di tutti gli italiani. "Al pari del diritto all’immagine della persona – scrive in sentenza – può configurarsi un danno all’immagine anche con riferimento al bene culturale".
Non solo un danno patrimoniale per il mancato versamento del canone per lo sfruttamento dell’immagine dunque, come previsto dal Codice dei Beni Culturali. Ma un vero è proprio danno non patrimoniale alla "nazione", così come intesa dalla Costituzione. Se per il primo il giudice ha stabilito un risarcimento da 20mila euro, il secondo, il danno di immagine, è stato quantificato in 30mila euro per un totale di 50mila euro. Una piccola rivoluzione di giurisprudenza, per la Galleria dopo la vittoria del 2017, quando sempre il tribunale di Firenze accordò, con un’ordinanza cautelare, la tutela all’immagine del David di Michelangelo inibendone l’uso illecito a fini commerciali.
"Si tratta – commenta la direttrice della Galleria dell’Accademia, Cecilie Hollberg – di un risultato eccezionale. Ringrazio l’avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze e il tribunale per aver riconosciuto un danno non patrimoniale. Si è trattato di un lavoro lungo e accurato che conferma la bontà di quelle ordinanze e sentenze già fatte valere per il mancato versamento dei canoni e la richiesta di autorizzazione per lo sfruttamento commerciale. Il principio apripista applicato dal giudice, esula dal singolo caso e ci auguriamo valga sempre in futuro".
A gioire è stato anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. "Apprezzo la sentenza che riconosce il principio di un diritto all’immagine per i beni culturali. In generale – commenta – senza entrare nei dettagli del dispositivo, si deve affermare che l’utilizzo a fini commerciali per i beni culturali va pagato mentre deve essere gratuito per le immagini a fini didattici e di studio. Conforta che i giudici la pensino come il ministero della cultura".