
Il teatro civile di Silvia Frasson: "Racconto di tutte le oppressioni"
Attrice di prosa e narratrice con una particolare modalità di creazionescritturarecitazione del racconto. Le due ‘anime’ convivono felicemente in Silvia Frasson, attrice e autrice toscana, cui è stato assegnata, con pieno merito, la 19esima edizione del "Premio Giacomo Matteotti – sezione Opere letterarie e teatrali" - prestigioso concorso organizzato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri dedicato a testi che illustrano ideali di fratellanza tra i popoli, libertà e giustizia sociale. Lo spettacolo per cui è arrivato il riconoscimento è "Poveri noi – Storia di una famiglia nella tragedia della guerra" che l’attrice porterà in scena il 10 novembre al Teatro delle Arti di Lastra. Il 20 ottobre, invece, la cerimonia di premiazione fissata a Palazzo Chigi a Roma.
Ci racconta come è nato questo testo?
"In occasione di uno spettacolo che è stato prodotto dal Teatro delle Temperie di Calcara. Il direttore artistico del teatro e regista Andrea Lupo, che conosce bene il mio lavoro e lo segue, l’anno scorso mi ha chiamato e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto se fossi stata io a raccontare la storia, legata a Calcara, di Gabriella Degli Esposti, antifascista e partigiana con il nome di Balella, medaglia d’oro al Valor militare alla Memoria, e della sua famiglia. Ho cominciato a lavorare su questa vicenda e la cosa che ha fatto la differenza è che ho potuto contare sulla testimonianza diretta della figlia di Gabriella, Savina, oggi 90enne ma attivissima tanto da portare ancora la sua testimonianza nelle scuole".
Lo spettacolo, infatti, è raccontato attraverso gli occhi della piccola Savina, perché?
"Prima di tutto perché lei, piccolissima, era presente quando la madre, è stata portata via, il 13 dicembre 1944, in seguito a un rastrellamento dei tedeschi. Un avvenimento che Savina rivive come fosse accaduto ieri, con lo stesso dolore. Quando organizzavo il materiale e pensavo a come proporre la storia la prima idea che mi è venuta è stato di farlo attraverso i suoi occhi. Questo, fra l’altro, ha portato a fare in modo che il linguaggio usato fosse semplice, di una bambina appunto".
La storia è circostanziata perché si riferisce a una vicenda puntuale ma si può parlare di un dolore universale?
"Sì, con il regista Andrea Lupo abbiamo deciso di eliminare a livello del testo parole specifiche, per esempio fascismo, per permettere di rendere il linguaggio universale e di parlare non solo di quella guerra ma di tutte le guerre, di tutte le oppressioni, di tutte le famiglie distrutte".
Oltre a questo spettacolo quali sono i suoi prossimi impegni?
"A febbraio sarò alla biblioteca di Sesto per una ripresa, in forma di lettura, dello spettacolo tratto da Le Voci della sera di Natalia Ginzburg con cui andrò a Roma, al Teatro Fortezza Est sempre a febbraio. Continua poi la tournée dello spettacolo sull’affido che riproporrò, il 21 ottobre, a Firenze".