
Michele Perini e Giuseppe Balasso, poliziotti: a bordo della volante furono i primi ad arrivare in via dei Georgofili
FIRENZE
A bordo della volante su cui facevano servizio, Giuseppe Balasso e Michele Perini furono tra i primi poliziotti ad arrivare sul luogo della strage dei Georgofili la notte tra il 26 e il 27 maggio 1993.
Erano giovani, inesperti ma cercarono di salvare più vite possibili in quel girone dantesco fatto di morti e paura quando cosa nostra dichiarò guerra allo Stato nell’ambito di una strategia terroristica di stampo mafioso.
Questo è il racconto di quella notte fatto dai due agenti. Nel podcast, disponibile sul nostro sito e sulle maggiori piattaforme dedicate, anche la voce di Gianni Innocenti, il vigile del fuoco che trovò il corpicino della piccola Caterina nella Torre dei Pulci crollata. L’immagine del pompiere che porta in braccio la bimba senza vita avvolta in un lenzuolo è divenuta il tragico simbolo dell’attentato di Firenze che segue gli omicidi a suon di bombe dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e anticipa gli attentati di Roma e Milano.
Le indagini sui mandanti avviate dalla procura di Firenze sono ancora in corso mentre è stata archiviata l’inchiesta contro Paolo Bellini, già condannato per la strage di Bologna, uomo in contatto con uno dei mafiosi, Antonino Gioè, che organizzò gli attentati: secondo l’iniziale ipotesi accusatoria fu lui a suggerire alla mafia di colpire il patrimonio artistico del Paese per seminare terrore. Nel podcast l’allora procuratore aggiunto Luca Tescaroli, ora alla guida della procura di Prato, spiega cosa c’è ancora da scoprire rispetto alla stagione nera delle stragi. "E’ stato scoperto molto - dice il magistrato -, abbiamo una conoscenza molto significativa in ordine a ciò che è avvenuto, per quanto attiene all’individuazione dei responsabili e in ordine ai moventi posti alla base dello stragismo dei primi anni Novanta. I dibattimenti celebrati inducono a porsi alcuni quesiti che richiedono ancora delle risposte e ciò nella prospettiva di accertare una verità completa su quegli anni terribili per la vita del nostro paese".
"Non sappiamo ancora - prosegue - le ragioni dell’accelerazione della strage di via D’Amelio avvenuta il 19 luglio del 1992, a 57 giorni dalla strage di Capaci, un evento unico nella storia criminale di cosa nostra; non abbiamo una risposta in ordine alle ragioni per le quali lo stragismo si è poi arrestato: il 23 gennaio del 1994 doveva essere eseguito quello che è il più grave degli attentati, allo stadio Olimpico, quell’attentato non riuscì per il mancato funzionamento del telecomando che doveva azionare l’autobomba".
Un attacco che avviene in un momento di grande incertezza politica ma, aggiunge il procuratore Tescaroli, "possiamo escludere che l’attentato non sia stato ripetuto perché Cosa nostra non aveva la disponibilità di uomini e mezzi. Molti boss erano in libertà e i collaboratori di giustizia che hanno dato un supporto a ricostruire le modalità degli attentati non hanno saputo dare risposte sul punto.
E’ quindi uno dei quesiti rimasti aperti come ancora non sappiamo come mai a un certo momento un signore che si chiama Paolo Bellini decide di recarsi in Sicilia e di incontrare Antonino Gioè, un esecutore della strage di Capaci che rivestiva un ruolo moto importante in seno al mandamento di San Giuseppe Jato che poi morirà in circostanza non del tutto chiariti il 27 luglio del 1993, giorno in cui è stato trovato morto nella sua cella, all’indomani delle stragi avvenuta quasi in simultanea nelle città di Roma e Milano".
E prima, nel novembre del 1992, a Boboli era stato lasciato un proiettile d’artiglieria. Dopo quell’intimidazione, arrivò la prima bomba che fece vittime in Continente.
ste.bro.