di Stefano Brogioni
FIRENZE
Richard Ginori, fu bancarotta. Semplice, però. Ultima parola della Cassazione sul fallimento dello storico marchio avvenuto il 7 maggio 2013: i giudici della Suprema corte hanno infatti confermato la sentenza della corte d’appello di Firenze, che condannava i due componenti del cda, Alessandro Mugnaioni e Alberto Franceschini, per il reato di bancarotta semplice da operazione imprudente.
Per effetto di una transazione tra i due imputati, assistiti dagli avvocati Duccio Baglini e Giordano Balossi, e la curatela, rappresentata dall’avvocato Sigfrido Fenyes, la Cassazione ha dichiarato l’annullamento senza rinvio degli effetti civili della sentenza. Chiuso, dunque, un doloroso capitolo della storia dell’impresa di porcellane di Sesto Fiorentino. L’operazione oggetto dell’inchiesta ruotava intorno alla vendita del sito, sede dello stabilimento, alla società immobiliare “Ginori Real Estate spa“, partecipata al 50% della stessa “Richard Ginori 1735 spa“ e per l’altra metà dalla “Trigono srl“. Con la Trigono era stato poi sottoscritto un contratto di affitto che consentiva alla fabbrica di ceramiche di non lasciare subito l’immobile, ma di restarci da “inquilini“ pagando un canone di locazione destinato ad aumentare nel tempo. La Richard Ginori 1735 spa assunse anche degli obblighi nei confronti della Trigono: oltre a quello di costituire la “Ginori Real Estate“, la Trigono avrebbe ottenuto dopo una vendita il 50% delle azioni Ginori. Inoltre, proseguiva il “patto“, entro il 30 novembre 2004 sarebbe stato effettuato un aumento di capitale di questa new-co, in misura paritaria tra i due soci, e l’autorizzazione alla iscrizione ipotecaria sui beni per consentire alla Ginori Real Estate“ di beneficiare di un finanziamento bancario con cui sarebbe stato pagato il prezzo della compravendita dello stabilimento di Sesto. Un altro degli obblighi oggetto del processo, è stato quello con cui la Richard Ginori 1735 si assumeva il trasferimento presso un altro stabilimento che sarebbe stato costruito nel territorio di Sesto Fiorentino entro il 31 luglio 2010, data oltre la quale la Trigono si sarebbe assunta il compito di individuare e edificare il nuovo stabilimento, da vendere poi alla Ginori. Se il trasferimento alla nuova sede non fosse avvenuto neanche al 31 luglio 2013, la Richard Ginori 1735 sarebbe stata costretta ad acquistare le azioni possedute dalla Trigono nella Real Estate.
I giudici di primo grado avevano qualificato queste condotte come una bancarotta fraudolenta in quando la vendita sarebbe stata "dissipativa" perché estranea all’oggetto sociale della Ginori e realizzato a condizioni svantaggiose. In Appello, è emersa l’impostazione, confermata dalla Suprema Corte, della bancarotta semplice, cioè che non vi fossero i presupposti della dissipazione perché l’operazione, benchè "fortemente imprudente", "non era estranea all’oggetto sociale della fallita, né a qualsiasi logica imprenditoriale in ragione dei costi e della vetustà del sito venduto, che suggerivano una diversa localizzazione e un ridimensionamento dell’unità produttiva".