
Le Feste Antonacci, Leonardo Rizzi e Giacomo Lecchi d’Alessandro
di Marianna Grazi
Autori, compositori, polistrumentisti e produttori; due Apostoli dalla forza creativa e incondizionata; due amici prima di tutto. Giacomo Lecchi D’Alessandro e Leonardo Rizzi sono Le Feste Antonacci, duo di artisti attivi a Parigi in ambito pop, pubblicità, documentari e serie per piattaforme come HBO, Netflix e Disney. Origini genovesi il primo, cresciuto a Siena il secondo, la loro musica (che potrebbe suonare alle feste di Biagio Antonacci? "Chissà, magari lui è stato a un nostro live in incognito", ironizzano) evoca un’atmosfera spensierata e comunitaria. Dopo una serie di fortunati Ep e singoli (tra cui "La vita fa schifo", hackerato da Andrea Bocelli per la John Lewis Christmas Ad), venerdì 27 giugno è uscito "Uomini Cani Gabbiani", il loro primo album e l’8 luglio saranno in concerto a Firenze, allo Spazio Ultravox.
Dopo il lancio, il live di ieri a Firenze: come state vivendo questi giorni? "Non vedevamo l’ora di esibirci e di incontrare i fan che in questi anni ci hanno chiesto a più riprese di fare una data a Firenze ma per un motivo o un altro non c’eravamo mai riusciti prima. Anzi vorremmo fare molti più concerti di quelli previsti per ora".
E che dire dell’album? "È la somma di tre anni di idee e sperimentazioni, perché la musica arriva subito mentre sui testi ci ragioniamo e rimuginiamo tantissimo. Ci sono dentro tanti generi che seguono un filo comune che definiremmo umanistico. “Ora è meglio di prima“, ad esempio, è il mantra mistico che apre il disco ed è sintesi di tutto ciò che viene dopo..."
Cioè? "Un grido d’allarme per l’affannosa corsa al progresso a ogni costo, a cui esiste una sola soluzione per sopravvivere, sempre la solita, l’amore. Dietro l’apparenza spensierata dei brani ci sono verità scomode: proviamo a scavare in profondità nei mali del nostro tempo, fatto di ansie, conflitti esteriori e interiori, in cui ci sentiamo annegare in un mare di informazioni e allo stesso tempo sempre più chiusi e incapaci di sentire, e invochiamo invece emozioni umane autentiche e universali".
Cosa significa per voi fare pop? "Più che un genere, è un’attitudine: prendere le strutture del pop classico, disinnescarle, mescolarle a groove oscure e ironia e usarle come piattaforma dove dar sfogo all’energia creativa condivisa e sempre aperta alla sperimentazione senza cadere nell’estremismo".
Come vivete il successo? "Ci fa piacere essere riusciti a creare una base di pubblico affezionato che magari ci ha conosciuti su social e piattaforme e che ora ci segue nei concerti, che canta e balla sulle nostre canzoni. Diciamo che è sempre emozionante e un po’ strano, in senso buono, se invece ci fermano per strada perché ci riconoscono".
Come definireste l’uno l’altro? E la musica? Rizzi: "Giacomo è uno che porta in fondo tutto quello che fa, inteso ovviamente come complimento. Invece se devo definire la musica con una parola direi collettività". Lecchi D’Alessandro: "Parto dalla musica che per me è intuizione. Leo invece è stoico, gli può capitare qualsiasi cosa, ma lui resiste e trova sempre una via d’uscita".