Quando scrivo, la sensazione più forte che provo - come ho già accennato in altre lettere di questo alfabeto della scrittura - non è quella di inventare la storia, ma di scoprirla strada facendo. Cioè, in un certo qual modo, ho la sensazione di inseguire la storia che sto raccontando, e tutto ciò che riesco ad acciuffare viene trasformato in parole. È come se vedessi la storia correre davanti a me e dovessi starle dietro, pronto a seguirla in ogni sentiero, anche il più sorprendente e inaspettato (che con il tempo o imparato a considerare la via più giusta, non architettata e progettata, ma intuita e scoperta). In altre parole: le storie si alimentano da sole, mentre le raccontiamo, e ci regalano percorsi che non potevamo immaginare fino alla pagina precedente.
A volte il percorso narrativo risveglia per associazione vecchi ricordi personali, anche molto antichi, che in quella occasione riemergono per aiutarci ad andare avanti. Ma anche questi sono momenti di sorpresa, che non avremmo incontrato se non avessimo inseguito la storia fino a quel punto.
Inseguire vuol dire scoprire percorsi nuovi, vuol dire avere "fede" nella storia che stiamo raccontando, capire che programmare un romanzo dalla A alla Z non è possibile. Vuol dire sapere che la scrittura (narrativa) è un intreccio continuo e indissolubile della mente con la fantasia, della ragione con l’intuizione, una collaborazione che lega chi scrive con ciò che sta scrivendo. Insomma, scrivere è un po’ come pedinare un’ombra che di notte cammina davanti a noi infilandosi in vicoli male illuminati, e intanto cercare di capire a chi appartiene quell’ombra e dove sta andando, senza farsi vedere, mantenendo la giusta distanza… e quasi sempre l’ombra ci porterà dove non pensavamo di andare, nei luoghi sconosciuti del nostro animo e della nostra coscienza, e ancora una volta ci farà capire come raccontare una storia sia un percorso di conoscenza.