Gli angeli in cucina per gli invisibili "Vengo qui perché non ho più nulla"

Viaggio alla mensa della Caritas di via Baracca. A pranzo tanti stranieri, anziani e sempre più fiorentini

di Emanuele Baldi

"Vivo così. E mi basta così". Francesco ha i pantaloni corti, le sneakers, i capelli a spazzola e 50 anni spaccati anche se la vita gliene ha scavati sulle gote qualcuno in più.

Guarda dritto negli occhi e con la forchetta puntella quel che resta del sugo al pomodoro nel piatto dove la pastasciutta non c’è più. Aria molle e ancora appicicosa, ultimo lembo d’estate nella pancia calda di via Baracca dove c’è una capsula di umanità che non spenge i fornelli mai, nemmeno a Natale e a Ferragosto: la mensa della Caritas che ogni giorno impiatta spaghetti, riso, piselli, carne, spinaci, melanzane, a volte qualche dolcino e mette a tavola chi una tavola non ce l’ha e a volte neanche un tetto.

Ci vanno quasi trecento persone al giorno ("Anche se la metà si prende il cibo e va a mangiarselo al sole nei giardini"), per entrare nelle stanze scarne con i piatti in mano basta esibire la tesserina che hanno avuto in doto al centro ascolto dell’associazione di volontariato. Ci sono indiani, pakistani, romeni anche se la maggioranza sono fiorentini. Francesco è uno di loro. È nato alle Piagge mezza vita fa, ha fatto l’operaio ma da quando ha visto il suo datore di lavoro con il viso sbranato da un macchinario in ditta e i suoi colleghi fuggire inorriditi davanti al sangue non riesce più a lavorare. "Non riesco proprio a stare più tra la gente... Mi hanno deluso".

"Amici? – chiede quasi a se stesso Francesco – Conosco qualcuno qui, ma amici no. Non mi serve nessuno. A pranzo mangio alla Caritas, la sera sono ospite di un’associazione. Ho girato tanti posti da quando non ho più uno spicciolo... ho dormito all’albergo popolare, a San Paolino, in piazza del Carmine, a Sorgane... E ora eccomi. Le tasche sono vuote, ogni tanto faccio un lavoretto, accomodo qualcosa in cambio di qualche soldo che mi basta per mettere benzina nello scooter e venire qui a mettere qualcosa sotto i denti".

Ci sono vite masticate, disperazioni asciutte, speranze rimaste a metà in questa macedonia di umanità che ogni giorno, all’ora di pranzo e con il migliore dei sorrisi possibili volontari, dipendenti, persone messe alla prova dalla giustizia cercano di accogliere e dare conforto.

"Pasta? Sì, buona. Grazie" dice un ragazzone di colore e si porta al tavolo un piatto di spaghetti fumanti con un hamburger e delle verdure. "Ci sono anche persone in là con gli anni da qualche tempo, – ci raccontano i volontari – molti sono stranieri che dopo tanti anni non hanno più un lavoro e sono costretti a sopravvivere in Italia". Come ha ricordato alcuni giorni fa Ginevra Chieffi, direttrice generale della Fondazione, Solidarietà Caritas Onlus gli spazi di via Baracca non sono solo un rifugio dove rifocillarsi. "Noi non diamo solo un pasto, ma intercettiamo anche un bisogno".

Le mense sono così una sorta di termomentro dell’emergenza sociale che la stessa Chieffi a oggi definisce così: "Stiamo rilevando che molte persone rispetto al passato iniziano a soffrire di disagi più profondi, una sorta di scompensi emotivi che sono certo spia di un momento delicato per tutti". La mensa di via Baracca, la più importante della città, è di proprietà comunale ma gestita appunto dalla Fondazione. L’attività è sostenuta interamente grazie alle donazioni. Ma il servizio di distribuzione pasti è capillare. La mensa di Novoli è infatti affiancata dalle mense diffuse di quartiere. Differenti i destinatari del servizio. Nei quartieri vanno persone adulte ed autosufficienti, in stato di povertà residenti o in possesso di regolare documento di permanenza in città segnalati dai servizi. La mensa di via Baracca è invece prevalentemente rivolta a persone senza dimora che possono accedervi direttamente.

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