di Carlo Casini
Sono una ventina i rider in protesta in piazza San Marco, dietro ognuno c’è una storia che spinge a pedalare sotto la pioggia in mezzo al traffico per pochi soldi e senza tutele. I più sono immigrati, la maggior parte pakistani che non parlano italiano. Incontriamo anche due studenti italiani, Andrea Pratovecchi 23 anni, rider da due e mezzo e Ruben Zappoli, 24 anni.
"Ora gli studenti sono pochi, lo fanno perlopiù persone 12 ore al giorno 7 su 7 e prendono sì e no 1200 euro al mese lordi" spiega Andrea. "Fare il rider vuol dire svegliarsi la mattina e non sapere se avrai un lavoro. È un algoritmo che decide, magari passi 5 ore per strada per 5 euro. Tutti i giorni le paghe vengono cambiate, l’app può decidere di non farti lavorare. Vorrei un contatto umano con il datore, non con una macchina. Mancano assicurazione, ferie, malattia, si lavora sempre, tutte le festività. Tutti abbiamo avuto incidenti, stando per strada succede. Schizzi da una parte all’altra, una o due maratone a turno. C’è enorme differenza di trattamento tra piattaforme: alcune danno diritti, come Just Eat, al contrario di altre come Glovo e Deliveroo. I clienti per aiutarci possono ordinare in quelle che riconoscono maggiori diritti. Non è vero che si raddoppia con le mance, preferisco avere l’assicurazione che 5 euro in più. Per l’infortunio dopo la battaglia di Cgil qualcosa viene riconosciuto. Ma non la malattia professionale".
"Io ho dolore al polso, dopo sei anni di buche – prende la parola Ruben, ora in pausa per laurearsi – Ma sono figlio di questa generazione di lavoretti senza tutele". E poi "Natale, capodanno è tosta, non passarli con le persone a cui vuoi bene. C’è una strofa dei ‘Pinguini tattici nucleari’, "la pioggia scende sopra i rider di Deliveroo", ti piove addosso, è pure Natale, ti senti proprio l’ultimo della società. Ma c’è anche tanta tristezza per loro che ordinano, non per fare il tradizionalista, a Natale una pizza o tre roll: apre una riflessione su quanto la famiglia sia sempre più dematerializzata".
Per uno straniero quello stipendio è però appetibile: "Sono un rider perché ho bisogno di lavorare, lo faccio da due – racconta Mohamed, 29 anni, in inglese – Lavoro anche 12 ore al giorno, ma non è un problema. Lo stipendio non è male. Le festività ancora meglio, pagano un po’ di più. È un lavoro difficile e rischioso. D’estate fa caldissimo, d’inverno freddo, il traffico è pericoloso. Casco, manutenzione eccetera dobbiamo pagarli noi. Poi c’è la paura di essere aggrediti. A me non è mai successo ma ad altri che conosco sì. Se ci rubano la bici o gli incassi è a carico nostro. Non c’è una sede dove possiamo fermarci al caldo o a pranzare come quella degli autisti – indica il casotto dall’altro lato della piazza – Ma soprattutto non c’è un bagno, dobbiamo chiedere ai ristoratori: qualcuno ci dice di sì qualcuno di no, soprattutto i posti lussuosi, e se è no la dobbiamo tenere finché uno non dice sì. All’estero anche i 5 stelle ti fanno andare".