Marcello Mancini
Cronaca

Il presidente di Banca Cr Firenze: "Stadio, tramvia e aeroporto: Firenze ha l'occasione di tornare capitale"

Lo sguardo al futuro: "Piano strategico per il rilancio, la nostra città merita una legge speciale"

Giuseppe Morbidelli, presidente della Cassa di Risparmio di Firenze

Firenze, 8 febbraio 2015 - Celebriamo la storia ma non la mummifichiamo. Centocinquanta anni fa Firenze si caricò sulle spalle l’Italia, cambiò vita e perfino identità, sedotta (o meglio: costretta) e abbandonata perché poi la capitale andò a Roma (1871) e lasciò i fiorentini con debiti e cantieri aperti sullo stomaco. Sei anni di gloria (poca) e di spese (tante). La città che vediamo è figlia di quello che successe allora. Azzardiamo un parallelo fra le due Firenze e fra i due cambiamenti: ristrutturazioni oggi e all’epoca, disagi oggi come alla fine dell’Ottocento. Una provocazione: ne vale la pena? Ho voluto coinvolgere in questo «azzardo» il professor Giuseppe Morbidelli, presidente della Banca Cr Firenze. La Cassa di Risparmio che nel 1865 c’era già (è nata nel 1829). Proprio come La Nazione (fondata nel 1859).

«Gli anniversari servono per ripercorrere il passato, metterlo a confronto con il presente e fare previsioni più corrette per il futuro. Il trasferimento della capitale, determinò una rivoluzione anche strutturtale della città. Un combinato di lavori pubblici di grandissima dimensione, che portarono alla distruzione delle mura, che provocarono certo una ferita alla storia di Firenze ma allo stesso tempo favorirono l’integrazione fra città e campagna e la prepararono al successivo sviluppo industriale».

- Quella rivoluzione sarebbe impensabile ai giorni nostri.

«Non possiamo misurare con il metro attuale quello che è avvenuto 150 anni fa. L’abbattimento delle mura aveva dietro il modello parigino di Haussmann. Fu una visione urbanistica oggi contestabile ma allora largamente diffusa e condivisa».

- C’è una singolare coincidenza fra quello che viviamo nel 2015 e ciò che successe nel 1865. I fiorentini di oggi si sentono solidali con i loro antenati.

«Firenze può essere protagonista di una grande stagione di opere pubbliche, rappresentate dalla tramvia, dallo stadio, dalla nuova pista dell’aeroporto, dalla tav. Dal recupero di una serie di grandi contenitori, penso a San Firenze, a Sant’Orsola, all’ospedale San Gallo, alla caserma di via Venezia, alla caserma di costa San Giorgio, alla Manifattura Tabacchi».

- Quella delle dismissioni rischia di diventare la stagione senza futuro. E’ un film già visto.

«Quando i contenitori diventano tanti, una soluzione va trovata: il numero fa qualità e pressione inarrestabile. L’amministrazione pubblica se ne deve fare carico perché siamo di fronte a una diseconomia anche sociale. Ci sono strumenti legislativi da parte dello Stato che permettono interventi integrati di cui far uso per recuperare questi immobili».

- Un caso per tutti: l’ex tribunale di Piazza San Firenze. Temo che faccia la fine di Sant’Orsola o degli ex cinema Capitol e Apollo, monumenti all’indecisione.

«Idee ce ne sono tantisime, la destinazione di San Firenze comunque non può non essere culturale: sede di fondazione, oppure di un museo, o accademia o un combinato di queste. Mentre le altre strutture possono essere dedicate anche a interventi privati. La quantità, dicevo, impone una iniziativa strategica. Ma non mi fermerei qui: non dobbiamo dimenticare il recupero delle periferie. Il problema del futuro è questo: le periferie abbandonate creano problemi anche di sicurezza e ordine pubblico, oltre che di igiene, salubrità e di decoro. Qui abbiamo un doppio obiettivo: migliorare l’equilibrio sociale e creare posti di lavoro».

- Lei è presidente della Banca più legata a Firenze, almeno storicamente. Che già era presente 150 anni fa. Gli interventi hanno bisogno di soldi.

«Credo che oggi il recupero dovrebbe essere sostenuto anche da una legislazione straordinaria. Dopo Venezia, Siena e varie altre città, Firenze meriterebbe una legge speciale».

- Ne sento parlare da decenni: è sempre stato un buco nell’acqua.

«Firenze ne avrebbe un sacrosanto diritto, non solo per risarcire la ferita aperta nel 1865, quando la capitale prosciugò le casse della città e lo Stato lasciò il Comune a cavarsela da solo. Ma per tutto quello che Firenze dà al Paese: siamo un polo di attrazione per tutta l’Italia e contribuiamo quindi con la nostra storia e i nostri monumenti, al Pil nazionale più di quanto riceviamo. E poi ritengo che sia necessaria perché il recupero dei contenitori dismessi, non essendo interventi che determinano redditività (prenda, appunto, un museo o una scuola di Musica), ricadono sul bilancio comunale che non potrà sostenerli».

- E le banche? Non possono contribuire?

«Possono avere un ruolo se si tratta di interventi di carattere produttivo. Mi spiego: se ci sono privati che riqualificano gli immobili per trarne un reddito, le banche sono più che disponibili a partecipare a queste iniziative. Ma non è che possono finanziare a fondo perduto come se fossero un ente pubblico, che non ha un ritorno diretto per poter pagare le rate di mutuo o altre forme di finanziamento. Semmai potrebbero intervenire le Fondazioni bancarie, anzi, è il loro ruolo».

- Secondo lei quali sono i canali per rilanciare Firenze?

«Oltre al canale turismo cultura, sui cui invero tanto stanno facendo la Fondazione Palazzo Strozzi e le istituzioni pubbliche, qui ci sono eccellenze sconosciute: attività artigianali, produzioni agro alimentari e culturali, prodotti manufatturieri espressi spesso da piccole e medie imprese che non hanno la forza per manifestarsi sullo scenario mondiale. Le faccio un esempio: Intesa San Paolo, il Gruppo del quale la Banca Cr Firenze è una delle componenti più rilevanti, ha elaborato, avvalendosi dell’occasione Expo, strumenti innovativi per mettere in mostra le nostre eccellenze in tutto il mondo. La sfida di Firenze è quella di creare canali nuovi».

- Si riferisce a internet, suppongo?

«Stiamo lanciando un portale che si chiama Created in Italia, in occasione dell’Expo, che prevede di portare sull’e-commerce le nostre piccole e medie imprese. Noi mettiamo in contatto colui che vende olio, o vino, o prodotti manufatturieri, o presta servizi con clienti di tutto il mondo, e forniamo l’assistenza necessaria: da quella finanziaria a quella logistica, a quella giuridica».

- Parlare di ottimismo è realistico o pura incoscienza?

«Quelle che ho elencato sono, a mio avviso, strade per la ripresa. La crisi dell’edilizia ha frenato non solo l’attività costruttiva e immobiliare, ma tutto l’indotto, il commercio è prigioniero delle difficoltà causate dai minori consumi e dall’affermarsi di nuovi modelli di commercializzazione dei prodotti. Peraltro a Firenze l’occupazione, seppure di poco, è in crescita. Frutto dell’integrazione turismo-cultura e delle attività di grandi realtà multinazionali, come Nuovo Pignone e Menarini, Ely Lilli, Ferragamo e i grandi marchi della moda con relativi indotti. Questi sono i punti di forza di Firenze e delle Toscana. Da qui bisogna ripartire».