
Francesco Calamandrei con la figlia, il giorno dell’assoluzione, nel maggio del 2008
Firenze, 7 marzo 2019 - C’è un contrasto tra la sentenza – mai appellata dalla procura – che ha assolto Francesco Calamandrei dall’accusa di essere il mandante degli ultimi quattro duplici omicidi del mostro di Firenze, e quanto rappresentato nella fiction «Il mostro di Firenze», realizzata da una società per «Fox», diffusa dal novembre del 2009 e tutt’ora in programmazione sull’on demand di «Sky». E c’è un contrasto anche tra quanto stabilito da due giudici. Il gip Silvio De Luca, che il 21 maggio 2008 ha assolto «perché il fatto non sussiste», il farmacista di San Casciano, e la sentenza del giudice Lisa Gatto, che nel novembre del 2016 ha assolto i produttori della fiction e i responsabili del canale: quello sceneggiato, dice la procura, consegna al pubblico un’immagine «colpevole» di una persona definitivamente estranea ai delitti, e l’accusa ha chiesto in appello di ribaltare l’esito del primo grado e condannare a otto mesi i sei imputati. Ma è soprattutto la figlia di Calamandrei, Francesca, che non si è persa neanche un’udienza del processo al padre, a combattere ostinatamente la «falsa ricostruzione dei fatti e della verità processuale» che «ingenera nel pubblico la convinzione che l’autore degli omicidi fosse il farmacista di San Casciano». Martedì, l’avvocato Gabriele Zanobini, il legale di Francesca e di suo padre (deceduto nel 2012) ha spiegato per quasi due ore i motivi del suo appello contro l’assoluzione di Fox e dei produttori, e picchiato forte su un punto della sentenza che li ha mandati assolti: l’affermazione secondo cui il farmacista sarebbe «persona ancor oggi sospettabile di essere tra i soggetti ispiratori di diversi duplici omicidi, nonostante l’incontrovertibile verdetto assolutorio».
«E’ la prova del contenuto diffamatorio del film», contesta Zanobini. Appuntamento al 2 luglio, per la sentenza. La fiction, creata nell’ottica di Renzo Rontini, il padre di Pia, uccisa assieme al fidanzato Claudio Stefanacci nel luglio del 1984 a Vicchio, interpretato dall’attore Ennio Fantaschini, non è piaciuta neanche al pm Paolo Canessa che, sentendosi anch’egli diffamato dalla ricostruzione, ha vinto una causa civile presso il tribunale di Milano. Oltre al risarcimento del danno, il pm dei processi a Pacciani, ai compagni di merende, e pure al presunto mandante Calamandrei, ha ottenuto che venisse tagliata dall’episodio della fiction la parte da lui contestata, contenente la ricostruzione del colloquio (registrato a sua insaputa) con il commissario Michele Giuttari. L’attuale programmazione è priva di quel brano, andato invece in onda nella primissima uscita della serie.