EMANUELE BALDI
Cronaca

La città sconvolta. Firenze, il silenzio e il dolore. “Una strage del genere qui non si era mai vista”

Il racconto dei testimoni: «Abbiamo sentito urla atroci, sono ancora nelle nostre orecchie». Lo sgomento lascia presto il posto alla rabbia. «Dicono tutti “ora basta“, ma sono parole vuote»

Firenze, 17 febbraio 2024 – Un boato. Secco come un lampo. È l’osso che alle 8 e 52 si spezza e piomba giù dallo scheletrone del supermercato Esselunga che sarà, incapsulato tra i palazzi di Novoli, crinale nord di Firenze dove l’ombra del campanile di Giotto non si allunga più, nascosta dai supercinema e dalle rotaie sopraelevate del nuovo tram.

In un cantiere muoiono – stanno morendo – degli uomini. Ma la città ancora non lo sa, è lì che rimette via svelta sotto l’acquaio i cocci della colazione. Ci mette qualche minuto la gente a intuire che tra le gru e i camion che hanno spianato il vecchio panificio militare della città per costruirci su un nuovo centro commerciale, è successo qualcosa di grosso, di mai visto a queste latitudini.

E che i perimetri di questa tragedia in divenire sono destinati per forza ad allargarsi. Paola, nella sua bottega di parrucchiera in via Mariti, ha un tuffo al cuore. «Un terremoto, ho pensato subito a un terremoto. Poi quelle urla. Così forti, atroci, ancora le sento nelle orecchie», dice con gli occhi umidi e la voce spezzata.

Ma un terremoto alza la polvere e stordisce, il cemento armato no, è la sua antitesi: distrugge e lascia per terra una fotografia della tragedia, subito nitida. Quella che vedono Barbara e Stefania è una faccia coperta di sangue impastata di polvere. «Ci siamo affacciate alla rete e abbiamo visto un uomo ferito. Voleva alzarsi, ma gli abbiamo detto “non ti muovere, stai calmo, sta arrivando l’ambulanza“». Il quartiere corre in strada, si assiepa sul marciapiede di fronte al cantiere mentre le sirene squarciano l’aria limpida, per nulla fredda.

«Ci sono cinque morti, Dio mio!», «No, no. Non si sa ancora. Stanno tirando fuori un operaio vivo», «Ma chissà quanti ce ne sono là sotto». Un pezzo di Firenze inizia a singhiozzare, sgomenta, l’altra, quella più lontana, prega in silenzio mentre scrolla gli aggiornamenti sui social degli smartphone. Ma non si capisce nulla perché tutti scrivono e nessuno sa. C’è chi traduce lo sgomento in rabbia e urla: «Uno si alza la mattina per guadagnarsi il pane e si ritrova sotto il cemento, fa tutto schifo...».

Le parole gelano il sangue. «Questi ragazzi ogni mattina fanno colazione qui al bar. Anche stamani, ora sono là sotto» dice un ragazzo. In poco tempo arrivano tutti. Arrivano i vigili del fuoco, le ambulanze, la protezione civile, i sindacati, gli assessori di Palazzo Vecchio, il magistrato di turno. Arriva il governatore Eugenio Giani con il volto di cera.

Il capo dello Stato Sergio Mattarella chiama il sindaco Dario Nardella che è a Gerusalemme in missione istituzionale, ma ha già in mano il biglietto aereo per tornare di corsa nella sua Firenze che nella giornata di oggi, lutto cittadino, farà un silenzio enorme di un minuto per ricordare le vittime mentre i negozianti, su invito della Confcommercio, spegneranno le luci delle loro botteghe per un quarto d’ora a mezzogiorno. Ma nel dolore cova una rabbia arcaica tornata di schianto a galla come un pallone spinto in fondo al mare e poi mollato.

Pervade Firenze, dai banconi dei bar agli sfoghi sui social: «Ogni volta che muore qualcuno mentre lavora si dice sempre “Ora basta“. Ma sono due parole vuote, ipocrite. Non cambia mai nulla», digita un ragazzo sul suo smartphone e tutti alzano su i pollici. E accanto al binario dello sdegno e del dolore ne corre parallelo un altro, quello dello sfinimento di una Firenze spaventata e arresa.

Così diversa da quella sfrontata e allegra che ricorda ormai solo chi in riva d’Arno ha i capelli bianchi. Una Firenze con l’identità schiaffeggiata da un turismo anonimo e bulimico e con le tasche svuotate da un mercato immobiliare drogato, imbrigliata da cantieri infiniti e cervellotici. Una città sfilacciata, che non si riconosce più, salvo nel ritrovarsi in una pietas collettiva quando in una mattina di febbraio, nell’ennesimo cantiere spuntato fuori dal nulla, scopre sangue e dolore e si ferma.

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