
Il mago dà le sue risposte positive, ma il guaio è dietro l’angolo sul carrozzone che lo deve riportare indietro
Vichi
Che succede?" chiedo con ansia. Lui non mi sente. Respira forte. Il suo capo ondeggia appena. A un tratto si rianima e si versa una tazza di tè. Ha un sorriso stanco sulla bocca.
"Allora? Tornerà?" dico. Lui mi guarda, mi vede, mette a fuoco la mia figura.
"Dura Sonia, dura... molto tanto grande dura dona..." dice scuotendo la testa.
Mi sento sempre più ridicolo, ho fatto mille e cinquecento chilometri per nulla. Ho la bocca secca.
"Almaharaath più duro" aggiunge lui con un sorriso triste.
"Allora... tornerà?" insisto, emozionato.
Lui batte una mano sul tavolo.
"Tornarà... Io veduta... tua dona tornarà" dice. Mi rende la foto. Restiamo in silenzio, non so cosa fare. Guardo e aspetto. Stiamo così per almeno un minuto, senza la minima evoluzione.
"Finito... C’est fini" dice Almaharaath, incassando il capo nelle spalle. Mi alzo per andarmene, e lui si alza con me.
"Yes... uno giorno, c’est sûre...... tornarà" dice di nuovo, ma questa volta con aria seria, quasi solenne. Vorrei chiedergli ancora qualcosa, ma lascio perdere. Mi sento ubriaco, voglio andarmene.
Almaharaath mi guida lungo un corridoio, e a metà si ferma. Lo saluto, lui fa un piccolo inchino e sorridendo si ritira nel buio. Dal nulla appare il ragazzino a righe, sembra più grasso di prima, ma forse è un altro.
Gli do mezzo dollaro, l’ultima moneta americana che trovo in tasca, e provo a sorridergli. Lui resta impassibile e nasconde i soldi. Mi accompagna alla porta, la apre e aspetta che me ne vada.
Appena fuori affretto il passo. Ritrovo la scalinata storta e comincio a scendere. Cammino a testa bassa scegliendo le vie meno strette, senza guardare nessuno negli occhi, e alla fine scavalco i confini della casbah.
"Tornerà" mi dico. Me lo ripeto a bassa voce, tornerà, tornerà. Sfilo la foto di Sonia dal portafogli e la strofino contro la maglietta per pulirla. La rimetto a posto.
Cerco di orientarmi, e finalmente arrivo al vicolo dove mi aveva
lasciato la bambina. Vado sempre al contrario e dopo due isolati trovo la fermata del bus che mi riporterà alla stazione. Mi appoggio al muro.
Ombre umane mi passano accanto silenziose. Il carrozzone arriva dopo una mezz’ora, e monto su. È quasi vuoto, per fortuna. Mi siedo di traverso, per poter guardare l’interno del bus.
C’è un tipo che dorme sdraiato in terra, altri dormono seduti. Fa un po’ meno caldo. Il guidatore ha una radio appesa a un gancio, si sente una nenia lenta, tutta curve.
Seduti in fondo ci sono due uomini enormi in tunica bianca. Hanno tutti e due occhiali neri alla moda, e parlano tra loro.
Il carrozzone corre più di prima e passa davanti alle fermate senza rallentare. Ne conto tre, poi mi alzo e tiro delle manate sul vetro per farmi notare dal guidatore. Vedo i suoi occhi nello specchietto, sono tondi, per nulla divertenti.
"Non qui, next, prochaine " ripeto. Il guidatore comincia a blaterare, a gesticolare. Credo voglia dirmi che si è fermato apposta per me, e mi invita di nuovo a togliermi dai piedi.
Fa un sacco di rumore, sveglia chi dorme, e qualcuno protesta. Uno dei due bestioni in bianco si toglie gli occhiali, per guardarmi meglio. L’altro è più concreto, si alza. Per evitare discussioni scendo.
Il carrozzone riprende la corsa lasciandosi dietro grandi palle di fumo nero, e sparisce in fondo alla strada. Mi faccio un chilometro a piedi seguendo la direzione del bus, e finalmente trovo la stazione.
(5 - continua)