REDAZIONE FIRENZE

E il processo Tav finisce nel tunnel della prescrizione

Cadute le accuse sulla frode per la ’talpa’ e sui rivestimenti della doppia galleria. Restano in piedi i reati ambientali e un filone per corruzione trasferito a Roma

FIRENZE

E’ andata fuori tempo massimo, la giustizia, nel perseguire alcuni reati contestati nel processo al sottoattraversamento della Tav. Ne ha preso atto il presidente del collegio della Terza sezione penale, il giudice Enrico Nicotra, che la scorsa settimana, come raccontato dal Corriere Fiorentino, ha "sfrondato" un processo gigantesco dei capi d’imputazione ormai caduti in prescrizione.

Si va avanti, dunque, con le accuse ancora "vive", sopravvissute al tempo inesorabilmente passato, ovvero quelle relative ai reati ambientali. E basta. Perché per molti imputati le accuse sono più che dimezzate e qualcuno, ora, esce completamente dal processo. Processo che è ancora lontano dalla conclusione, visto che ci sono udienze per diversi mesi ancora in calendario. Il processo, anche se depurato dai reati prescritti, procede nei confronti di Stefano Bacci, Oliviero e Mareno Bencini, Matteo Bettoja, Paolo Bolondi, Renato Casale, Matteo Forlani, David Giorgetti, Valerio Lombardi, Furio Saraceno, Franco Varvarito, Lazzaro Ventrone e alcune società, tra cui Nodavia e Coopsette, rispettivamente consorzio e capofila.

S’interrompe, dunque, la parte degli accertamenti relativi alla talpa "Monna Lisa", la fresa che avrebbe dovuto scavare il doppio tunnel dal Campo di Marte a Castello, e anche la (presunta) frode sui ’conci’, i rivestimenti che avrebbe dovuto foderare il tunnel ma che, secondo le conversazioni intercettate dai carabinieri del Ros, non avrebbero retto alle prove di incendio, squagliandosi ad una certa temperatura.

L’inchiesta, condotta dai pm Gianni Tei e Giulio Monferini, fece molto rumore. Negli atti che portarono al sequestro della fresa - ne sarebbe stata utilizzata una invece che due - telefonate che fecero tremare, e indignare, riguardavano anche la "disinvoltura" con cui si scavava anche sotto la scuola Rosai.

Ma il processo al sottoattraversamento Tav, iniziato troppo tardi (2017) rispetto all’epoca dei fatti contestati (2013), ha anche un filone ’emigrato’ a Roma, in cui si ipotizza la corruzione, ed è quello che riguarda, tra gli altri, l’ex presidente della Regione Umbria Maria Luisa Lorenzetti. Ma pure lì, la scure del tempo incombe.

I processi, però, niente hanno a che vedere con l’impasse in cui sono imprigionati i cantieri della "Foster", pure "ambiti", come rivelato dal nostro giornale, dalla malavita organizzata.

Annuncio dopo annuncio, fallimento dopo fallimento, è arrivato anche il 2021. Rfi ha ereditato i lavori della grande opera dopo le disgrazie delle imprese che avrebbero dovuto scavare i dodici chilometri sotto la città: il Covid anche in questo caso non ha aiutato la partenza delle ruspe.

Ma il "nodo" Tav si porta appresso anche un altro aspetto, non pienamente definito, che riguarda la destinazione ma soprattutto la qualificazione delle terre di scavo.

Ferrovie ha a suo tempo precisato che esse verranno smaltite secondo le indicazioni previste dal Put, Piano Unico delle Terre, approvato dal Ministero dell’Ambiente.

Se i materiali di risulta dello scavo assecondano certi requisiti, e non diventano quindi "rifiuti", possono essere caratterizzati come sottoprodotti e smaltiti con soluzioni come quella inizialmente indicata nel progetto, ovvero a Santa Barbara, Cavriglia.

ste.bro.