Gentile Marco Vichi,
Sono una discreta lettrice e anche per lavoro mi occupo di lingua italiana: spesso mi capita di scrivere recensioni e articoli. Ultimamente mi sono sentita dire che dovrei provare a scrivere "qualcosa di più", cioè un romanzo. Ho sempre risposto che scrivere è una cosa seria, ma devo dire che ultimamente (complici forse i 50 anni in arrivo) il tarlo del "perché no?" ha iniziato a lavorare. A frenarmi non è la paura dell’insuccesso: se nessuno volesse pubblicare un mio libro, pazienza. Ciò che mi blocca è una sorta di pudore: ammesso che io sappia farlo, scrivere significa mettere a nudo la propria anima, i propri sentimenti, parlare di cose che toccano le nostre corde più sensibili e, magari inavvertitamente, quelle di chi ci sta vicino; sono certa che non saprei inventarmi "cose che non conosco", o ambientazioni diverse dalla mia quotidianità e dal mio vissuto, e una parte di noi finisce inevitabilmente in quello che si scrive. Ma se poi un libro dovesse veramente uscire sarei in grado di gestire tutto ciò che ne segue? Scrivere o non scrivere? È davvero un bel dilemma.
Patrizia
Gentile Patrizia, a prescindere dai risultati non posso che incoraggiarla a scrivere. Raccontare una storia costringe a una piacevole (a volte piacevolmente dolorosa), esplorazione di se stessi, anche attraverso lo specchio di personaggi diversi da noi. Quanto utilizziamo di noi scrivendo, come si forma e avanza un romanzo, almeno per me rimane un mistero… che non vorrei svelare a me stesso nemmeno se fosse possibile farlo. La scrittura avviene al di là di un velo che lascia solo intravedere delle ombre, troppo poco per capire cosa accade davvero. Scrivere è un bellissimo gioco, e come tutti i giochi più belli ha una sua inevitabile profondità. Viviamo tutta la vita ascoltando e raccontando storie, i lettori come lei anche facendosi raccontare storie dai romanzi. Raccontare fa parte della condizione umana: si fonda sulla memoria, che fa parte di noi come la bocca per respirare. Per vivere senza "racconti" bisognerebbe tapparsi le orecchie e non parlare. L’unico "inconveniente" è che tornare indietro non è facile: chi comincia scrivere difficilmente riesce a smettere, forse perché scopre che era sempre stata una necessità nascosta dentro di lui. Dunque ci pensi bene, perché appunto il desiderio di raccontare storie è un disturbo senza ritorno, il più bel disturbo del mondo.