Da paziente a medico. Simone si racconta: "La vita è una corsa"

Dal Rizzoli a Careggi fino a Torregalli: "Ammalato a 11 anni". Oggi si dedica alla chirurgia delle patologie scheletriche.

Da paziente a medico. Simone si racconta: "La vita è una corsa"

Da paziente a medico. Simone si racconta: "La vita è una corsa"

Aveva 11 anni quando ha scoperto di avere un osteosarcoma alla coscia. A 15 anni, dopo tante battaglie e sofferenze e una continua spola tra Roma, dove viveva, e Bologna, dove veniva curato, ne è uscito vincitore. Oggi è un medico affermato, specializzatosi proprio nella cura della malattia che lui ha sconfitto e nella struttura che lo ha salvato. La storia di Simone Colangeli, chirurgo ortopedico, è un esempio di vita e speranza, che ha voluto raccontare nel libro "La vita è una corsa impazzita verso la felicità’ edito da Albatros. "Il titolo – spiega – è una frase che ho scritto nel momento più difficile della malattia, quando la chemio mi ha distrutto le difese immunitarie e ho preso una terribile stomatite che mi impediva di parlare. Per comunicare coi miei genitori, scrivevo delle frasi. Per me, adolescente tra terapie e ospedali, la vita era una grande corsa impazzita e incomprensibile. Ma con un obiettivo: la felicità".

Oggi quella felicità è nella sua famiglia, nei suoi due figli e nel suo lavoro, che svolge al San Giovanni di Dio a Torregalli, dopo una specializzazione presa al Rizzoli di Bologna, l’ospedale che lo ha curato e guarito. "Ho avuto la fortuna di essere curato da grandi professionisti: il chirurgo Mario Campanacci e l’oncologo Gaetano Bacci. Luminari, geni e grandi uomini, sul cui esempio ho scelto di seguire la loro strada". Come lui, anche il fratello minore di un anno, Marco Colangeli, è diventato medico: lavora come ortopedico della Clinica III al Rizzoli, che si occupa di patologie oncologiche muscolo scheletriche.

Il dottor Simone invece, dopo anni al Rizzoli, poi a Careggi, poi Pisa, ora è a Torregalli dove da due anni ha lasciato l’oncologia per dedicarsi alla chirurgia delle patologie scheletriche degenerative. "Ho scritto il libro – racconta - quando ho deciso di lasciare la prima linea oncologica. Avendo vissuto in prima persona le sofferenze e le paure, potevo creare un canale comunicativo diverso con i pazienti, spiegare loro cosa significava il percorso verso la guarigione. Potevo dare loro iniezioni di speranza, cosa che voglio continuare a fare con questo libro". Che ha dedicato ai suoi mentori: "per me, ragazzino malato, erano supereroi. Purtroppo sono morti entrambi prima di vedermi specializzato, ma son sicuro che sarebbero stati fieri di me e mio fratello, così loro come i miei genitori. Tutti in corsa, verso la felicità".

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