Elettra Gullè
Cronaca

"Torniamo a una scuola più severa per contrastare il disagio nei giovani”. A Palazzo Vecchio presidi, psichiatri, politici e scrittori a confronto

Oggi e domani convegno nel Salone dei Cinquecento organizzato dall’Associazione nazionale presidi per riflettere sul mondo dell’educazione

Antonio Giannelli presidente nazionale ANP (Foto Cabras / New Press Photo)

Firenze, 16 febbraio 2024 – E se l’antidoto al disagio giovanile fosse una scuola più severa? È uno dei tanti interrogativi emersi durante il convegno, in programma oggi e domani nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, dal titolo ‘Ancora oggi dopo mezzo secolo... La riforma im/possibile dei decreti delegati del 1974’. L’iniziativa è stata organizzata dalla sezione Toscana dell’Associazione nazionale presidi e rappresenta un’occasione preziosa per riflettere sul mondo della scuola, tra docenti sempre più demotivati e stanchi, “che non vedono l’ora di andare in pensione” e ragazzi che “inseguono altri valori, che non possono appartenere al mondo della scuola”.

Lo ha detto chiaramente lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet: “I ragazzi di oggi inseguono i valori narcisistici che respirano anche in famiglia: vogliono diventare belli, ricchi e famosi. E certo la scuola non può aiutarli in questa loro ‘ricerca’. Per questo i giovani non vedono più nell’istruzione quel ruolo di guida”. Una riflessione che diventa ancor più cupa nella fotografia scattata da Paola Mastrocola, docente e scrittrice: “La nostra società agiata esalta i valori dello svago, del divertimento, degli apericena. Tutto bellissimo, per carità, ma ecco che la scuola non funziona più. Perchè mai i nostri figli dovrebbero soffrire sui banchi? I docenti sono sempre più demotivati perchè il loro ruolo è diventato schizofrenico. L’insegnante deve essere anche psicologo e assistente sociale. Gli si chiede di supplire alle lacune educative soprattutto delle famiglie”. E ancora: “Siamo passati dalla scuola dell’educazione a quella della cura. Scuola ormai significa aiutare e proteggere i ragazzi. Capisco di sostenere chi è in difficoltà, ci mancherebbe, ma le montagne da scalare vanno lasciate, altrimenti si perdono gli stimoli”. Secondo Mastrocola, invece, “per la paura che un ragazzo non ce la faccia”, non si chiede più di scalare “alcuna montagna”. “Ma così non si privano i giovani della gioia di avercela fatta?”, la domanda che la scrittrice lancia alla società tutta. Da parte dei dirigenti scolastici, è evidente che negli ultimi anni, soprattutto dopo il Covid, il disagio dei ragazzi sia esploso. “Lo vediamo tutti i giorni - le parole di Andrea Marchetti, dirigente dell’istituto agrario di Firenze e presidente provinciale Anp -. Parlo di disagio psicologico e psichiatrico, ma anche di forme di dissociazione e di alienazione. È un disagio crescente che si nota anche nelle famiglie. I due anni vissuti in isolamento hanno creato tanti danni. Ma non c’è solo il Covid tra le cause. Noi abbiamo una psicologa a scuola, ma da sola non riesce a far fronte a tutte le richieste. Il disagio è molto legato anche ai social, a questo continuo inseguire modelli irrealizzabili”. Ma ci sarà pure una via d’uscita da tentare? “Un’idea sarebbe quella di tenere aperte le scuole il pomeriggio, ma avremmo bisogno di più personale Ata e di una revisione del sistema di mobilità provinciale, altrimenti una larga fetta dei nostri ragazzi non saprebbe come tornare a casa”, dice il preside Marchetti.

Il disagio giovanile è stato anche al centro dell’intervento del sociologo e politologo Luca Ricolfi. “I dati sono impressionanti - la sua premessa -. Dopo il 2019 e dopo il Covid abbiamo assistito ad una esplosione dei sintomi di disagio, che hanno preso due direzioni: da una parte maggiore aggressività e criminalità, con un raddoppio in media dei fenomeni negativi nel giro di un triennio, dall’altra un aumento esponenziale dei fenomeni autolesivi. Crescono depressione, ansia, isolamento, suicidi”. Un quadro estremamente allarmante. “Lo è ancor di più se lo leghiamo al fatto che tutto questo accade dopo un cinquantennio di agio. In questo mezzo secolo una serie di processi hanno enormemente facilitato la vita dei giovani. Basti pensare a quanto adesso sia più facile esser promossi”. Insomma, evidenza Ricolfi, “la rimozione sistematica di ogni tipo di difficoltà, di ostacolo o di vincolo ha creato una gioventù impreparata ad affrontare la vita”. Lo studioso evidenzia “l’iper-protezione da parte dei genitori” e poi “i danni causati dalla tecnologia”. In particolare, Ricolfi parla dell’avvento dell’iPhone4, nel 2010, come di “un salto tecnologico, fatto di telecamera incorporata nel cellulare”, che ha finito per “cambiare completamente la condizione giovanile”. Insomma, con l’avvento dei selfie, tutto è cambiato. In peggio. “Sono successe cose molto inquietanti”, afferma Ricolfi. “Gli studiosi parlano di una epidemia internazionale di malattie mentali - dice -. Alla base di tutto? La competitività. Ma non certo a scuola. Soprattutto le ragazze entrano in crisi perchè la loro immagine non rispecchia quegli standard di bellezza che viaggiano sui social”. “Dopo il 2010-2011 - sospira il sociologo, - i suicidi hanno subito una impennata a livello globale. Sono soprattutto le ragazze a soffrire. E il collegamento con le nuove tecnologie è lampante. La crisi economica in quel biennio era superata. Eppure, soprattutto nei paesi considerati più civilizzati, dove il nuovo smartphone dei desideri ha subito sfondato, la curva dei suicidi si è impennata. Così come le diagnosi di depressione e ansia”. Un quadro drammatico che non può porre al centro la scuola. “Occorre ripristinare un nuovo patto educativo tra docenti e genitori, al cui interno i giovani possano ricostruire la loro fiducia nelle istituzioni scolastiche”, osserva il presidente regionale Anp, Alessandro Artini.