PIETRO MECAROZZI
Cronaca

Firenze, viaggio tra i ragazzi del carcere minorile: “Sogno di riabbracciare mia madre"

Il reportage dall’Istituto penale per i minorenni di Firenze, tra vecchi errori e nuovi orizzonti

Reportage dall'Istituto penale per i minorenni di Firenze

Firenze, 11 luglio 2023 – Un errore di pochi attimi può segnare una vita intera. Marchia a fuoco, come una lettera scarlatta. E per quella società spiata tra le sbarre della finestra della cella, anche se minorenne, sarai sempre un galeotto. Per Bryan, però, oltre il portone di via degli Orti Oricellari - che custodisce l’Istituto penale per i minorenni (Ipm) di Firenze - c’è la vita, per quanto assurda e complessa possa essere. "Voglio sentire di nuovo il calore di mia madre, i suoi baci, le sue risate – ci racconta nell’aula colloqui il ragazzo italo-nigeriano cresciuto in Toscana –. Voglio riprendere in mano il mio destino, e realizzare il sogno di diventare un cantante rap". Occhi scintillanti come fanali sulla pelle d’ebano, taglio di capelli alla moda, mani che disegnano striature sul tavolo, come una goffa danza. Il tono della voce disincantato tradisce un volto puerile di un ragazzo di 19 anni (sconta la pena da quando era minorenne) già al secondo anno di reclusione.

Bryan sa cosa l’aspetta fuori, sa che agli occhi della gente sarà sempre quello che è finito dentro per un crimine violento. Ma non intende arrendersi. "Ho sfruttato questo tempo per riflettere, per pensare ai miei errori – spiega il giovane –. Il passato non si cancella, ma qui dentro sono cresciuto e una volta fuori sento di poter dare una svolta decisiva". Come Bryan ci sono altri 16 detenuti (solo maschi, in media per metà stranieri e per metà italiani), tra minorenni e giovani adulti, che hanno un conto aperto con la giustizia. Storie sghembe, senza eroi, a volte irrisolvibili, un po’ ambigue, dolorose. Sono sei i ragazzi dietro le sbarre che scontano una pena definitiva; i restanti undici sono in attesa di giudizio o sono stati spostati dalle comunità terapeutiche o socio–educative dove erano collocati – strutture più ‘soft’ previste dall’ordinamento giuridico – per aggravamento della misura cautelare, in quanto rei di fuga o cattiva condotta. "Prima di arrivare a Firenze – continua Bryan – sono stato anche nel carcere di Nisida, a Napoli, quello della fiction ‘Mare fuori’. La situazione è molto diversa da come viene raccontata in televisione".

Fuori, questa volta, ad aspettarlo ci sarà davvero il mare, quello della sua costa: il conto alla rovescia per il fine pena è scandito da lezioni di italiano impartite ai migranti e incisioni nello studio di registrazione che l’istituto mette a disposizione. Mentre parliamo, la luce affettata dalle inferriate – poste a mo’ di recinto sui tetti – svela il perimetro della struttura. Incastonato nella corte di un rettangolo di abitazioni, l’istituto lamenta i suoi anni di anzianità: un’ala è rivestita da impalcature, mentre il campetto da calcetto e il cortile avrebbero bisogno di manodopera. Scendiamo nell’area comune: le telecamere controllano ogni angolo, con l’ausilio di alcuni agenti della polizia penitenziaria che presidiano le aree e la presenza costante degli educatori. Il clima è familiare, tutti collaborano per un unico obiettivo, quello della reinserimento dei detenuti: "Oltre alle lezioni scolastiche – chiosa Antonia Bianco, la direttrice dell’istituto –, che si tengono tutte le mattine tranne l’estate, ci sono laboratori d’arte, di musica, sportivi, di recitazione e di cucina". Un’assistenza a 360 gradi è fornita anche sul piano della salute. "I ragazzi vengono visitati da medici, infermieri, neuropsichiatri infantili e psicologi – continua Bianco –. Di questi professionisti abbiamo sempre più bisogno".

Arrivati in cortile ad accoglierci c’è Ming (23 anni). Capelli color carota, muscoli strizzati in una maglietta nera e un sorriso schietto. A Ming, come a Bryan, vivere dietro le sbarre lo ha fatto “maturare”, svuotandolo dai cattivi pensieri e instradandolo verso un mondo che ben presto è diventata la sua ragione di vita. "In carcere ho imparato a cucinare, e adesso sto facendo un tirocinio nel ristorante di un importante hotel di Firenze – racconta il giovane di origini cinesi –. Lì ho appreso la disciplina, ho capito l’importanza di rispettare oggetti e persone". Sull’altro lato del cortile c’è però chi assiste in silenzio alla parata dei detenuti modello. Con la mano sinistra si tocca i sei tagli (autoinflitti) sul polpaccio, lo sguardo è assente, musica araba spinge nelle cuffie.

A fianco a lui c’è un quindicenne dalle fattezze infantili: un metro e sessanta di altezza, sul prolabio si intravedono i primi peli della pubertà, mentre l’acme gli inquina le guance. "Ha commesso reati violenti – ci spiega Gerardo Sapiente, comandante della polizia penitenziaria nell’istituto –. Viene sfruttato per la sua età e sfrontatezza. Entrambi farebbero parte delle cosiddette baby gang che negli ultimi anni si sono rese protagoniste in città".

Molto spesso i giovani detenuti hanno alle spalle un passato burrascoso, fatto di "violenza, tossicodipendenza e assenza di affetti". E una volta dentro non sempre il cordone ombelicale che li lega a queste realtà si spezza: "Ci sono madri a loro volta abbandonate che fanno affidamento su questi ragazzi – conclude la direttrice –, anche da reclusi, scaricando su loro responsabilità, problemi economici, frustrazioni". Un macigno troppo pesante, per chi, alla fin fine, il più delle volte non ha nemmeno vent’anni.