Una crisi strutturale, che coinvolge 110mila operai in Toscana. Il 12 novembre i lavoratori del comparto moda sciopereranno. La filiera è ferma, le imprese perdono fino al 20% dei profitti e stanno cercando una via d’uscita con un’unica certezza: niente sarà più come prima. Il presidente della sezione moda di Confindustria Toscana (centro e costa), Stefano Zecchi, ha provato a mettere sul tavolo i problemi, in un’analisi che punta a individuare soluzioni.
I lavoratori del comparto incroceranno le braccia il prossimo 12 novembre. Ma vista la situazione non è una protesta alla quale potrebbero unirsi anche le parti datoriali?
"Lo sciopero non è lo strumento tecnico più idoneo per le parti datoriali, ma ritengo che i sindacati abbiano voluto lanciare un messaggio propositivo. Coi sindacati avevamo sottoscritto un protocollo già a febbraio scorso nel quale si avanzavano proposte alla parte pubblica. Da allora la situazione è solo peggiorata; le sollecitazioni rivolte alla politica sono state disattese".
Quali sono le cause della crisi?
"All’inizio la riduzione dei volumi ha avuto innesti congiunturali; ormai siano nel pieno di una crisi strutturale. Il mercato cinese è praticamente chiuso rispetto ai modelli occidentali. Questo colpisce il distretto, visto che il 30-40% degli accessori prodotti era destinato a quel mercato. Il secondo elemento di natura strutturale è il crollo dei modelli di consumo per i beni di carattere distintivo: non serve più ostentare lo status symbol, basta postare sui social le foto di un viaggio e l’effetto è lo stesso".
Quanto durerà la transizione? "Il cambiamento è stato repentino, per ripartire servirà tempo".
I grandi brand vanno a produrre nel sud Italia: come mai? "Anche questo è parte del problema. La Toscana ha un eccesso di frammentazione, per la storicità del distretto. I nuovi operatori del sud usano provvidenze pubbliche che facilitano localizzazioni fuori dalla Toscana, che storicamente offre poco. Sono imprese quantitativamente più importanti delle imprese medie del distretto. Aziende più grandi localizzate in zone dove ci sono contribuzioni pubbliche hanno economie di scala migliori". Quali possibili soluzioni?
"Al pubblico chiediamo ancora migliore accesso al credito, ammortizzatori sociali e una forte azione di contrasto alla concorrenza sleale. Misure che servono a governare una riconversione industriale che non ostacoli processi aggregativi della base produttiva. L’idea romantica dell’azienda nel garage che scala il mercato mondiale è appunto solo un sogno. Servono più sinergie e più capacità di fare per essere più attrattivi e sostenibili".