SIMONE BOLDI
Cronaca

Alla ricerca del Tirinnanzi perduto Una mostra per riscoprire un grande

A Greve, paese natale del pittore, dal 6 settembre una preziosa retrospettiva dell’artista intimo di Rosai e Montale

Alla ricerca del Tirinnanzi perduto Una mostra per riscoprire un grande

di Simone Boldi

Togliere la polvere che offusca pesantemente l’oro della memoria di un grande dimenticato, non soltanto della pittura ma della cultura in senso ampio. E’ l’obiettivo che si pone la mostra ‘Nino Tirinnanzi: alla ricerca dell’uomo perduto’ che dal 6 al 23 settembre nel cuore del ’suo’ Chianti proporrà una ventina di preziose opere del pittore nel centenario della nascita. L’esposizione nel Museo di Arte Sacra di San Francesco a Greve, dove Tirinnanzi è nato nel 1923 e morto nel 2002. Curatore della mostra lo storico e critico d’arte Giovanni Faccenda. Sarà visitabile martedì, giovedì, venerdì, sabato e domenica ( 10-13 e 15.30-19.30). Il 6 settembre alle 18 al museo il convegno ‘Dall’infanzia a Greve al suo mondo artistico’, con il sindaco Paolo Sottani, Maria Chiara Tirinnanzi, nipote di Nino, Gloria Manghetti, già direttrice del Gabinetto Vieusseux, il giornalista Marco Hagge e Giovanni Faccenda.

Faccenda, perché una mostra su Tirinnanzi?

"Per rendere omaggio a un grande della cultura italiana ed europea degli anni Trenta, quando Firenze rivaleggiava con Parigi come prestigio e creatività. Tirinnanzi a Greve entrò in contatto con lo scrittore Domenico Giuliotti, e nelle varie fasi della sua vita artistica conobbe e frequentò personalità del calibro di Rosai, Montale, Penna, Gadda, Pratolini, Pasolini, Zeffirelli...".

Giganti. Ma come spiega un oblio così tenace?

"Mi vengono in mente tre principali motivi. Il caratteraccio, Tirinnanzi diceva sempre e a chiunque pane al pane e vino alvino. Poi l’omosessualità, le frequentazioni con Penna e Pasolini nell’Italia bigotta di qualche decennio fa non erano ammesse. Gadda una volta, al Caffé Greco ai Roma, finse di non riconoscere Tirinnanzi e Penna. Eppoi la storia dei falsi...".

Ce la sintetizza?

"Tirinnanzi dipinse cinque quadri e gli firmò Rosai per venderli e pagare un debito di gioco di 5mila lire, che aveva accumulato perdendo a carte una sera del 1938 in un locale fiorentino dove lo aveva portato Rosai. Tra i giocatori di quella nottata c’era lo scrittore Tommaso Landolfi, il più accanito a reclamare la vincita. Rosai poi perdonò Tirinnanzi ma il loro rapporto affettivo e professionalesi si era ormai incrinato. Una di quelle opere finì esposta al Moma di New York, molti studiosi attribuirono a lungo a Rosai quei cinque dipinti, nell’ambiente quindi si diffuse la fama poco nobile di Tirinnanzi falsario e Rosai ‘falsificabile’.

Ottone Rosai gli fu comunque maestro e amico intimo...

"La pittura di Tirinnanzi fu più ispirata da Carrà. E con Rosai il rapporto fu variegato, complesso. Tirinnanzi già a 5-6 anni disegnava in maniera pazzesca. Quando ne aveva 12, Rosai gli chiese di ritrarlo e rimase sbalordito dal risultato. Dopo la rottura per la storia dei falsi, Tirinnanzi riparò a Roma da dove scapperà dopo il delitto Pasolini".

Per tornare a Firenze...

"Dove vivrà gli ultimi vent’anni in un attico di via de’ Bardi con vista sul Corridoio Vasariano. Alternava Firenze con Forte dei Marmi, dove spesso passeggiava con Eugenio Montale: mentre faceva un ritratto al poeta, due mesi prima della vittoria gli pronosticò il Nobel del 1975...".