
L'Albereta devastata dal nubifragio del primo agosto
Firenze, 15 agosto 2015 - C’E’ una processione lenta, dolorosa, al parco dell’Albereta. Ragazzi, giovani, anziani. Si fermano. C’è chi scatta foto. Chi osserva in silenzio. Chi guarda lontano, senza trovare ostacoli. Gli alberi non ci sono più. Pini enormi sono adagiati sul terreno. Non ce la fai ad abbracciare il tronco. «Io ci sono cresciuta, mi viene da piangere a vederlo ridotto così» dice Elisa, poco più di trent’anni.
L’Albereta era il parco di tutti. Dei bambini e dei loro genitori nell’area giochi, dei pensionati a far scorrere il tempo sulle panchine, di chi vuole bene al proprio corpo e aveva scelto questo parco per correre, di chi ci portava il cane per fargli godere la libertà. Là, tra l’Arno e Villamagna, dal ponte di Varlungo a quello di Verrazzano. Tredici ettari di meraviglia. Quei grandi pini, le loro chiome alte, lassù quasi in cielo, nobili, presuntuose nel loro osservarti dall’alto, non ci sono più. Al loro posto il vuoto. Il vialetto delle poesie, sbocciato nel luglio di tre anni, è ridotto a macerie. I grandi massi con i versi scritti sopra sono piegati, ricoperti dai tronchi. Sepolti. Proprio all’ingresso, entrando dalla parte sud, a fianco del campetto di calcio anch’esso devastato come qualunque altra cosa, restano le parole che il giovane poeta fiorentino Lisetti volle dedicare a questo polmone verde dei fiorentini. Fanno effetto quei versi, perché sono proprio a ridosso di un tronco di pino, spezzato a un’altezza di circa un metro, enorme. Ne restano le schegge e alle loro spalle, sulla riva dell’Arno, si ergono ancora cinque grandi pioppi. «Si sono salvati perché erano stati potati...» dice Samuele, ieri al lavoro con la ruspa per curare le ferite del parco. Sullo sfondo, dall’altra parte dell’Arno, si vedono le dolci colline di Firenze, Fiesole, Settignano. Prima erano coperte dagli alberi, ora sostituiti dal nulla. Scorrendo il vialetto delle poesie svanite, andando verso il ponte da Verrazzano, si vedono in lontananza due pini in mezzo al parco. Si sono salvati. A poca distanza li domina un traliccio dell’Enel. Che tristezza.
Voltandosi a sinistra spuntano le case di via Villamagna, prima nascose dal verde. Sulla strada scorrono le auto, i motorini. Non c’è uno alla guida che passi senza voltarsi verso il parco sfigurato. La piccola costruzione in muratura dove c’era a fianco il bar ha il tetto distrutto. A destra un cipresso, esile, si allunga verso il cielo, nel vuoto che lo circonda. Fa quasi tenerezza. E poi i giochi dei bambini, le fontane, sfregiate dagli alberi che sono caduti nell’acqua. A destra, la sfilata di pini e di pioppi non c’è più. I tavolini in legno, le sedie capovolte. Superando la casetta dei boyscout, ecco sette pini, ancora belli, giganteschi, uno vicino all’altro, distesi sul vialetto. «Peccato, noi com’era non lo rivedremo più» dice a bassa voce una signora. Ci portava il cane a correre all’Albereta. E quasi si commuove.