
L'incidente di caccia dove ha perso la vita Giancarlo Leoncini. Foto Gianni Nucci/Germogli
Certaldo, 7 gennaio 2015 - «NON mi si chiudono gli occhi: il mio pensiero torna sempre lì e rivedo sempre quella scena». Siamo a Tavolese, zona collinare tra Fiano e Marcialla, dove Certaldo tocca la Valdelsa senese. Lì dove martedì mattina, poco dopo le 10, Giancarlo Leoncini, 63 anni, pensionato residente a Certaldo, è stato colpito a morte da un proiettile calibro 30,06. A esploderlo, la carabina di Alberto Falorni, 70 anni, pensionato ed ex idraulico, un altro certaldese. E’ lui a parlare, raccontare. Non si dà pace, Alberto. Cacciatore da oltre cinquant’anni, mai un intoppo nel suo percorso tra boschi e campagna alla ricerca di cinghiali da abbattere. Lui e la sua carabina, precisa, potente. La stessa che martedì mattina ha ucciso, nel corso di un piano di abbattimento controllato di cinghiali regolarmente autorizzato, il compagno di caccia e amico di vecchia data.
«Giancarlo lo conoscevo da una vita, da sempre», commenta al sicuro tra le mura di casa. E’ il giorno dopo il dramma. E tutti sono scossi, sconvolti: la moglie non riesce a trattenere le lacrime. Ancora non sembra vero. «Erano tutti amici», si lascia scappare, prima di passare la parola al 70enne adesso indagato per omicidio colposo, secondo quanto deciso dal pm di turno Paolo Barlucchi e assistito dall’avvocato Alessandro Ramerini. Lo stesso che era al suo fianco durante l’interrogatorio, andato avanti per circa un’ora nella caserma dei carabinieri di Certaldo, nelle ore successive al tragico incidente di caccia. «I suoi genitori erano miei clienti quando facevo l’idraulico, si figuri se non lo conoscevo bene», racconta l’uomo, voce ferma, senza emozioni. A rendere quella conoscenza un legame più forte è stata la caccia, quello sport che li ha visti insieme fino all’istante prima che Leoncini spirasse nel campo, teatro della drammatica battuta, poco distante dal lago di Tavolese. «Sono cinquant’anni che ho il porto d’armi, che vado a caccia, che imbraccio il fucile: mai un intoppo», riflette ad alta voce, sgomento. «E adesso, guardi cosa è successo».
E il pensiero torna lì. Alla battuta avviata come da prassi, dopo avere eseguito le procedure stabilite dalla normativa. Con i cacciatori posizionati nelle poste, i cani sguinzagliati a indirizzare le prede nella trappola. Fino a quel punto tutto era filato liscio: sia lo sfortunato Leoncini che Falorni avevano abbattuto qualche capo. Poi il dramma. Alcuni ungulati arrivano nel corridoio di fuoco, Falorni non resiste alla tentazione di seguire la preda, spara e il colpo raggiunge al petto l’amico a un centinaio di metri da lui. Un colpo fatale, Leoncini cade a terra, scatta l’allarme ma i soccorsi sono inutili: la salma dell’uomo viene trasferita al reparto di medicina legale di Careggi, dove oggi sarà eseguita l’autopsia. Lo strazio è di tutti: di Falorni, dei cacciatori, dei familiari della vittima. La moglie Giuliana non vuole arrendersi, come i due figli Genny e Gianluca. «Voglio parlare con loro - spiega Falorni - Ci proverò. Tutti cercano di confortarmi, ma il fatto resta: ciò che dicono la gente e i giornali ha poca importanza».